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"Ciao!" mi dice all'ingresso della biblioteca. E' un ragazzo. Giovane, avrà 22 anni: giacca di velluto marrone, docevita nero, jeans. Sorride. Penso, con cattiveria, che sia un leninista. Ha una valigetta, e mi sorride di un sorriso totale. Lo supero per dirigermi verso il parcheggio delle biciclette. Mentre gli passo accanto modulo con la glottide, per spaventarlo, un ringhio subsonico, un suono a metà strada tra il respiro di Dart Fener e la moka del caffè. Ma lui: mi segue. E' il mio primo giorno di dottorato. Non ho la minima idea di cosa debba succedere, non so dove dovrei essere o cosa fare. Dopo l'iscrizione nessuno mi ha più contattato - e io che contavo su missioni segrete, ordini che si autodistruggono in cinque secondi, furti di manoscritti! - non ho neppure un documento che certifichi che sono iscritto a qualcosa, da qualche parte: non una tessera, non una ricevuta, neppure una spilla, nulla, niente, niente di niente di niente di niente. "Ciao!", dice, accanto alla bicicletta parcheggiata. Io, spingendo col palmo, tento di chiudere il lucchetto. "Forse ci vorrebbe un po' d'olio", consiglia. Lo guardo. Mi guarda. Inclina la testa di lato. Sorride. Comincio a sentirmi a disagio. Sono le nove e un quarto, l'università è ancora mezza vuota, pochissime biciclette, nessuna coda alla macchina del caffè. "Se è per i corsi di marxismo", dico, "non mi interessa" "Oh, no" dice lui, agitando una mano "no, no, non sono un leninista". "Bene". Mi alzo, mi avvio verso la biblioteca. Lui mi segue. A due passi da me. Lo guardo. Sorride chiudendo gli occhi. Cammino. Cammina pure lui. Mi giro: sorride. "Ci conosciamo?" chiedo. "Io sono Sergio" "Io Alessandro" "Lo so". Ok, penso, un altro pazzo. Aspetto che dica qualcosa. Non dice nulla. Tiene la valigetta con la mano destra. Ha delle scarpe da ginnastica grige e blu. "Ti serve qualcosa?", chiedo. "No no." "Ah", dico, "Ok allora, ciao". "Ciao". Procedo verso la biblioteca. Sergio continua a seguirmi. Se mi volto, sorride. Alle volte mi saluta con la mano, anche se è a cinquanta centimentri da me. Allora mi siedo su una panchina. Si siede accanto. "Scusa", chiedo, "ma mi stai seguendo?" "Certo!" dice "Non si era capito?" "E perchè?" "E' il mio lavoro, naturalmente." "Il tuo lavoro?" "Non sai proprio nulla?" "Di cosa?" "Sei proprio disinformato eh? Sono il tuo PD", dice: PiDì. Prendo tempo, mi sfrego i palmi delle mani, mi tolgo gli occhiali, mi strofino gli occhi. Non so se voglio sapere. "Il mio PD", dico. "Sì", dice, "il tuo Promotore di Disagio." "Ah." dico "Immagino sia una nuova figura professionale". "Certo!", dice, "introdotta dal DDL Moratti. Ma se ne parlava già da tempo, sai, tanto che ci sono dei corsi di laurea apposta. Non lo sapevi?" Apre la valigetta, tira fuori un foglio intestato dal quale legge: "Art. 223 bis Ogni iscritto ai corsi di dottorato dovrà bla bla bla essere affiancato da una figura di supporto competente nella produzione e proliferazione del disagio pluricontesutale bla bla bla allo scopo di favorire la simulazione e l'inserimento in un ambiente concorrenziale bla bla bla." Mi passa il foglio. Leggo e dico "Ah". Mi appoggio coi gomiti alle ginocchia. Lui, invece, si accomoda allungando le braccia sullo schienale della panchina. "Naturalmente", aggiunge scuotendo la testa, "quella cosa dell'ambiente concorrenziale è tutta una bufala che nasconde l'intento criminale di smantellare il sistema universitario statale a favore di instituzioni private..." Lo guardo stupito: "Be', è più o meno quello che voi di Forza Italia state facendo con tutto, no?" "Noi? Noi di Forza Italia?!" risponde "Ma io non voto mica Forza Italia, io voto Ds!"

(continua...)

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale