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sono arrivati con le scale e le lenzuola multicolore chiazzate. scale a palchetto, a arganello, a libretto, scale a chiocciola, scalette, sgabelli, trabattelli, alla marinara, scale di corda... le hanno estratte dal furgoncino traballante, su fino in salotto. hanno ammucchiato i mobili, nel centro della stanza e in due - erano in due - quello alto e quello basso, vestiti di bianco - pantaloni e canottiera e capelli - hanno spiegato i lenzuoli vecchi sul tavolo, sulla montagna degli ammennicoli accatastata, sui divano rivolti uno contro l'altro. hanno coperto le porte, a modo di tenda, e il pavimento con un gusto per il patchwork che non avrei mai detto. poi si sono guardati attorno, uno di fianco all'altro, le braccia incrociate, girando la testa sincronicamente, da sinistra a destra, da destra a sinistra, sempre verso l'alto. li ho visti prendere delle cinture piene di pennelli diversi, allacciarle in vita e cominciare il lavoro.

«A modo loro sono dei genii», ha detto mia madre stasera a cena, «avranno la quinta elementare, sai».
Ha aggiunto: «Vorrei solo che la smettessero di toccare la donna delle pulizie».

ho dei problemi col tempo, l'umanità, la lettura, la scrittura, lo studio, l'adsl, i blog, la letteratura, il lessico, l'arte, la cinematografia filippina, i riassunti (i riassunti!), gli occhi, i fumetti, i computer, la birra, l'alcool in generale, dickens, le prese scart, la polvere, l'accumulo, i quaderni, i telefilm americani, la siss, le conversazioni, gli arogmenti, le primarie (le primarie! il tir giallo! giallo!), i nomi, i cognomi, i nipoti, il lessico, gadda, la cognizione, la concentrazione, ma soprattutto col tempo --- la mattina, il pomeriggio, le settimane i mesi i giorni, le ore, cazzo, le ore, i minuti - porcaccia quella cosa dei minuti e chi li ha inventati...

mettiamo una sala. o un'autostrada. mettiamo una folla nella suddetta sala, o il rientro dalle vacanze sulla suddetta autostrada. mettiamo che la sala abbia una sola uscita, e così l'autostrada. mettiamo che a un certo punto tutti decidano di uscire contemporaneamente. Ecco.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale