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Adesso il rubinetto è chiuso perché c’è una perdita nello scarico. Per lavarci i denti usiamo la vasca da bagno, oppure la cucina. Raramente il bidé. Dice mio padre: gli affittacamere di Padova. Ma forse è una questione più generale.

Qualche giorno fa si è marcito un tubo nel muro. L’idraulico armato di scalpello ha scavato un buco per sostituirlo (c'ha lasciato quello vecchio per ricordo). Fortuna che si vede poco, ha detto il padrone alla fine, osservando la chiazza di malta tra le piastrelle.

Siamo qui da poco più di un anno, questo è l’elenco dell’erosione (a futura memoria).

La lavatrice si è rotta due volte, la prima a causa di una guarnizione messa male: la cucina si è allagata, bolle di sapone ovunque. L'intonaco si sgretola in più stanze, di notte ci cade in testa: Giovanna, nel sonno, chiede cosa è stato, poi dimentica. Le finestre sul terrazzo si chiudono male, perché a suo tempo sono state imbiancate anche le maniglie. Entrano gli spifferi, fanno corrente, giocano a ramino. Il riscaldamento non ha termostato, bisogna accendere e spegnere la caldaia di volta in volta. Strattonando, ad agosto si è spezzata la maniglia della camera da letto. Il giorno dopo, la porta si è chiusa con un colpo di vento e non si apriva più. Abbiamo smontato diverse serrature. Lo scaldabagno elettrico ha fatto corto circuito una notte di febbraio: il calcare aveva ucciso la serpentina, l’idraulico albanese ha dovuto scavare più di un'ora prima di riuscire a pulirlo del tutto. Il lavandino del bagno (quando va) è sempre intasato. Il bagno si allaga una volta al mese. La finestra del salotto ha un pezzo che si stacca. Gli scuri della camera da letto non rimangono aperti. Un po' di muffa agli angoli delle pareti. I pavimenti della casa - soprattutto quello del bagno, strategicamente bianco - sono autosporcanti. Alcuni frammenti di linoleum bordeaux si staccano dal pavimento della camera. Questo divano è troppo piccolo per due. Le piante si suicidano. Le sedie si spezzettano. Gli scuri si imbarcano se piove troppo. La lampada del bagno, a dicembre dell’anno scorso, ha incendiato i fili elettrici perché era montata male. La luce dell’avanbagno non si accende, ma non si può aggiustare perché il cavo è murato. La porta del bagno non si chiude, alle volte strascica per terra. Il tubo di scarico del lavandino in cucina si è dissolto a maggio. Saltano le guarnizioni, il termosifone in studio sgocciola, la portella della madia in salotto mi è rimasta in mano perché era incollata male. L’appendiabiti dell’armadio è crollato ripetutamente. L’appendino in ingresso si è spezzato in due. Il rubinetto della vasca da bagno non si chiude.

Mi sembra che basti.

Devo finire la tesi di dottorato. Questo blog non sarà più aggiornato, almeno fino a luglio, a meno di altri danni casalinghi. Intanto, se volete, qui.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale