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Ad esempio ho cominciato a correre lungo gli argini del piovego, attraverso nubi di polline dei pioppi, seguìto dagli occhi sospettosi di cani zoppi o con le gambe troppo corte e dai loro padroni altrettanto menomati - roba da freaks, praticamente: nani da giadino, uomini con due teste, giganti che portano a spasso cani striminziti, fratelli siamesi attaccati per la schiena che cercano di correre ma non si spostano se non, a mo' di granchio, di lato e cose così - evento astrologico, millenario e millenaristico, da tempesta di sabbia, inaudito, inaudibile, visto che per anni ho considerato la corsa come un fenomeno da dementi, o, più che altro, da autistici dello sport, al pari della palestra, quasi a livello della demenza più assoluta, il golf - la perversione travestita da esercizio fisico - preferendo piuttosto sfiancanti camminate di ore, battendo a tappeto ogni angolo della città, nell'idea che il camminare fosse più a misura d'uomo che il correre. Più umano insomma, e quindi più alla mia portata, oltre che meno faticoso.


(continua, sì, ancora)

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale