La finestrella del bagno mi arriva al collo. Verso le cinque di pomeriggio, di solito, ci appoggio le braccia incrociate, il mento sulle braccia e aggrappo lo sguardo al ramo spezzato del tiglio di fronte (non è un tiglio), all’ascensore in vetro della clinica privata, alla terrazza dei vicini, all’azzurro uniforme che sembra così leggero. «Questa deriva casalinga del blog» dice, «questo richiuderti nella relazione» soggiunge, «non mi piace per nulla». «E poi scrivi poco. Non scrivi mai» dice l’altro. «Preferivo», fa un terzo, «preferivo quand’eri paranoico». A notte, quando Giovanna si addormenta, cammino sul letto, in piedi, a larghi passi per non pestarla. La luce bassa della lampada dal design fantascientifico - anche se di una fantascienza tutta anni settanta - proietta un'ombra tenue sulla parete. Strizzo gli occhi in cerca di zanzare nascoste, in mano la racchetta fulminate che m'ha regalato mio fratello. Un passo sul copriletto, appoggio le dita dei pi