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Visualizzazione dei post da luglio, 2003
Già. Eppure la nostalgia, lo diresti? Ti rimescola le ossa, e senza neanche rendertene conto ti ritrovi un femore al posto di una falange, una costola dove prima c’era la spalla, la spalla al posto della tibia, la falange al posto dello sterno. Tutto un groviglio. Sei isolato da giorni. La tua massima vita sociale è andare in biblioteca a parlare con i libri. Interi scaffali si sono stufati di te, hanno deciso di non risponderti. Se solo ti avvicini, minacciano di cascarti addosso. La Letteratura Italiana Einaudi ti ha morsicato una mano, l’ultima volta, quasi ti staccava un dito. Una foto di AsorRosa, perdendo per un attimo il naturale aplomb che la contraddistingue, ti ha urlato frasi terribili che ancora ti vibrano nei sogni, tipo: “Vai a studiare Fogazzaro!” o anche “In culo a Monti!” o anche, la più tremenda: “Vaffanculo con Metastasio!” L’aria condizionata della feltrinelli è troppo condizionata. Ma tu, come al solito, te ne accorgi troppo tardi. Hai appena guardato un libr
Tutti a rendere omaggio! Tutti dal guru il lunedì mattina! A rendere omaggio! Buone vacanze! (inchino, via un altro) Buone ferie! (inchino, via un altro). Il guru oggi ha una camicia blu elettrico. Dispensa benedizioni. Prenditi una vacanza, dice a una. Riposati, dice a un altro. La fila è lunga tutto il corridoio. Volevo consegnargli ottantamila pagine, invece sono lì, solo, col mio sorriso più scemo, in coda, l’ultimo. (Falciatrici, ferri da stiro, lavatrici: vi odio, sappiatelo. Soprattutto voi, falciatrici. Vi odio più di tutti. E’ inutile che continuate a svegliarmi per ripicca. Io vi odio, vi odierò per sempre. La lotta è appena comincita, falciatrici, vi saboterò. Saboterò il vostro piano di dominio. La vostra visione del mondo, piena di prati rasati, è aberrante.) - Ho una nuova ricetta – questa è mia madre - Ah sì? – questo sono io. - Una ricetta piena di ananas – questa è ancora mia madre - Ananas. – sì, questo sono ancora io - Non lo sai? Fanno una strana rea
Luglio è stato sufficientemente crudele, grazie. E non è ancora finito. In compenso, attorno, la gente si laurea, le feste si sprecano, le mie finanze si assottigliano – anche quando non faccio i regali. Le mie autoflagellazioni non saranno volontarie, ma ci sono e visibili: ho un’ustione lunga tre centimetri lungo il polso. L mi ha chiesto se ho tentato di suicidarmi col filo interdentale. Invece è solo il segno della mia incapacità di cucinare. Diciamo: la mancanza di pazienza. Alla festa sui colli si vedono le luci della città. “Ma! è Padova?” chiede A, che cerca, come me, tutti modi più stupidi di passare il tempo. “Non so. Potrebbe essere New York.” “Be’ sì. Il profilo è più o meno lo stesso.” Marcàspio mi fa notare la selva di scarpe a punta; poi, dopo che gli ho presentato l’unica ragazza libera della festa, mi ringrazia dicendo che faccio il galletto nel pollaio. Io non sono permaloso e gliela faccio pesare per tutta la sera. Per l’informazione, io non faccio il galletto. E
Il cielo ieri si è oscurato, ma era un falso allarme. E’ tornato subito il sole e la polvere che si era alzata oltre i tetti dei palazzi è ridiscesa a coprire le strade. Tutto sembrava arido, secco, dopo. Più secco, più arido. Mia madre, in due giorni, da sola, si è mangiata tredici chili di anguria. Compresa la buccia, penso. Non c’erano bucce nella spazzatura, questa mattina. Il fruttivendolo indossa calzini bianchi di cotone che non arrivano a coprirgli le caviglie, e ciabatte di plastica azzurre, come quelle dei chirurghi. Sono angurie nostrane , dice, non come quelle che compri all’Auchan che vengono dalla Grecia, dalla Spagna e non si sa che cosa gli danno da bere . E’ scocciato perché gli ho detto che un’anguria costa troppo. Lui quasi mi morsica la giugulare: è che è troppo basso, se no non sarei qui a scrivere, ma disteso con una chiazza di sangue che si espande, tra le patate e le cipolle. Patate e cipolle nostrane, naturalmente. Il caldo fa uscire i negozianti c
Io, a Strelnikov , gli devo offride da bere, gli devo, offrire da bere. già. gli devo. offrire. da bere. offrire. gli devo. da bere. da bere. offrire. da bere. già- gli devo.
Gli spazzini arrivano sempre a mezzanotte in punto. Attraverso i vetri vasistas sento il soffio meccanico degli stantuffi che sollevano i bidoni: rifiuti secchi, non riciclabili. I camion della nettezza urbana arrivano di notte, tutti assieme in lunghe file che neanche la conquista del west, inframezzati da apecar arancioni. Sopra gli argini si distribuiscono i quartieri da pulire: le luci intermittenti e i vapori si diffondono per tutta Padova. (Lo spazzino sordomuto trova una tavola da surf in polistirolo. In spiaggia sta seduto guardando il mare - in silenzio ovviamente - e aspetta l’onda giusta.) C’è un vicolo che unisce il centro di Padova a casa mia. Lo percorro ogni notte, quando esco, perché mi terrorizza. Non c’è mai nessuno. Da un lato ci sono condomini, dall’altro dei muri altissimi, che a vederli così diresti che dietro non c'è nulla, ma se sbirci attraverso i cancelli hanno giardini nascosti più grandi di un campo da calcio. -Ale!- sento. Sono concentrato a i
Ah, siamo ridotti a questo, siamo ridotti alle pippe, eh, siamo ridotti a impipparci di pippe tutto il giorno, 182 pippe al giorno per intontirsi - guarda che occhiaie che c’hai, guardati le mani, c’hai calli neanche suonassi la chitarra. Siamo arrivati a questo? Be’ no. NON NEGARE! Guarda che mi fai girare le palle si neghi, guarda che mi viene da tirarti due pugni sulle orecchie, poi altro che pippe, perdi il senso dell’equilibrio, perdi di vista la tua stessa anatomia poi ti ritrovi a smanettarti la caviglia, non negare che ti ho visto. No, io… Ah, no? Ma cosa credi, che nessuno si faccia le pippe? Tutti se le fanno, ma tu… tu… diobuono tu te ne fai un sacco. Ma io, cioè- Fossero solo pippe fisiche, non sono solo pippe fisiche, ti fai 824mila pippe fisiche solo per cancellare le pippe mentali, negalo se hai il coraggio. Ma noo, io pippe mentali non… Hai il coraggio di negare! Hai il coraggio di negare il non negabile, l’evidente, il trascendentemente visibile a tutti: il
A te non pare di aver bevuto così tanto, eppure in macchina, tornando a casa, mentre commentate la serata, ti attraversa la certezza che l’espressione Va in mona de to sorèa (Cioè: Accomodati nella vagina di tua sorella, per favore) sia un’espressione poeticissima. All’una e mezza di notte, da casa, le telefoni, ma non risponde nessuno. Chiami. Aspetti. Dalla finestra aperta senti le voci di due ragazzi che litigano. Spegni la luce e ti apposti accanto il vetro per vedere che succede. Ma non succede nulla. Poi telefoni di nuovo: continua a non rispondere nessuno. E*, quel pomeriggio, ti aveva raccontato dei suoi litigi. Alla fine aveva chiesto di te. Ti aveva consigliato di insistere. E’ quello che sto facendo, hai detto. Le donne premiano la costanza, ha detto lei. Eh sì, ha ripetuto, le donne, la costanza, la premiano, la costanza. E tu, dopo questa frase, ti sei sentito sgonfiare, come se qualcuno ti avesse bucato. E quando lei si è girata e ti ha visto perdere volume, ti ha
Uno gira lo sguardo un secondo e attorno ne combinano di tutti i colori. Sempre attenti bisogna stare.
In questi giorni le canzoni mi si appiccicano alla lingua come certe patatine che se le tieni in bocca senza masticarle ti frizzicano le papille, ti si macerano da sole. E ripeto i ritornelli per delle ore, fino a quando qualche altra canzone non stappa via l’altra. Canto da solo ritornelli di cui so solo una parola. Sembro autistico. Intanto Ale, l’altro Ale, è partito. Da solo, per la Spagna. Ha il mio zaino, che gli ho prestato, forse il mio saccoapelo e nessuno ha notizie di lui. Segue il cammino di Santiago di Compostela. A sua madre non ha detto nulla. Le ha lasciato un biglietto con su scritto: Parto. Pensavo le scrivesse anche la destinazione, invece no. Tornerà, se tornerà, tra un mese. - Il corrispondente in televisione – dice mia madre – si scusava perché non aveva la cravatta. - La cravatta? - Sì, per il caldo. A Londra c’è un caldo mortale. - A Londra? - Sì all’ombra – Ride - Ah, siamo alle freddure. - Appunto. – Ride di più. Poi la solita partita di c
- Allora, come è andata dagli F*? – chiedo a tavola - E’ andata bene – risponde mia madre – V * mi ha detto che vi siete conosciuti. - Alla laurea di A* - Già. Mi ha detto che sei molto educato. Quasi mi mettevo a ridere. - Perché? Io sono molto educato – dico, arrotolando quattro etti di spaghetti in una sola forchettata. - E allora com’è che a casa scoreggi, lasci i vestiti sporchi in salotto e mangi come un camionista? - Non è mica vero. – rispondo, con la bocca piena - Avete mangiato bene? - Sì, benissimo. Da quando V* cucina vegetariano, a casa sua si mangia benissimo. - Cosa avete mangiato? - chiedo, mentre con la mano libera mi gratto un'ascella. - Di primo: pasta con le cozze. – dice - La smetti di fare quei bocconi? - Le cozze non sono vegetali. - puntualizzo ruttando. - Sei il solito pignolo. Comunque per me sì: le cozze sono vegetali. - Ah sì? E che altro? Il pollo? Il pollo è vegetale per te? - sarcastico, con un dito nel naso. - Il pollo no – dice – Ma l
Domani - dici - domani cambierò- ma non è mai domani è sempre oggi, sempre qui, adesso, è sempre adesso sei sempre tu. eccheccazzo.
p.s. Vorrei anche aggiungere che lo spettacolo mi è piaciuto, che siete stati bravi. Vorrei raccontarlo a tutti, ma ho troppo sonno, perchè ieri sono tornato alle tre, dopo aver bevuto due Tennents medie. No, sono tornato alle cinque ubriaco fradicio per aver bevuto 15 spriz, sette birre da litro, tre cartoni di tavernello e un chinotto energy. No, sono tornato alle sei ed ero così ubriaco che mi ricordo solo di essermi attaccato - visto che non c'era altro - alla bottiglia dell'alcol denaturato e al flacone del dopobarba. Duccio, mi devi una birra.
Ma le strade di sera cambiano planimetria. Si arricciano a spirale, come minimo si intorcolano. Se di giorno una strada dritta ti porta da A a B, la stessa strada verso sera ti conduce da A ad A e poi a Q, forse a K, passando per il mare, i campi di granturco e uno stadio da baseball. Di B neanche l’ombra. E’ così che ci si perde, mica per altro. Il sole, alle otto e un quarto, è un filo più alto dei palazzi; è arancione: sembra la luce di mezzo di un semaforo. Attenzione, sembra dire. Attenzione a chi? eh? Attenzione … ma senti questo. Attenzione lo vai a dire a tua sorella. C’è lo spettacolo stasera e ci tengo. Parto un’ora e un quarto prima che inizi per arrivare presto e trovare posto. La strada la conosco PERFETTAMENTE. E’ dritta: va diretta da A a B. E infatti, dopo venti minuti di pedalate, arrivo a C. Allora rivedo mentalmente il tragitto. Decido che dovevo curvare prima. Torno indietro, curvo. Passo semafori, cunette, scritte fasciste sui muri. Arrivo a un bivio e, do
Arrivi in biblioteca che sembri un facchino - altro che. Una tracolla e una borsa a mano. Nella borsa c’è il portatile. Col portatile ti senti finalmente professionale . Nordesticamente professionale. Imperativamente professionale. Guardatemi!, pensi, Guardate, quanto professionale sono. Sono o non sono professionale?, pensi pedalando, Sembro o non sembro un professionista? – e tieni la borsa con la mano destra e solo con la destra perché a sinistra c’è l’unico freno funzionante della bici. La borsa - mentre pensi alla tua superba professionalità, al fatto che solo per andare in giro così professionalmente dovrebbero pagarti un tanto al metro, perché alzi il livello medio di professionalità dalla tua città e quindi in qualche modo influisci sul PIL nazionale - ti sloga la spalla, ti sbilancia, ti inclina sbilenco. Uno sbilenco professionale, però sbilenco (però professionale). Arrivi in biblioteca. Lucchetti la bici. E senti un odore. Un odore acido, come di piscio di gatto.
bzz. ronzo. mi piace ronzare. bzzz. ronzo disegnando uno zero. bzzz. sulle lenzuola grigie, disteso, c’è il mio bersaglio. bz. ronzo. mi piace ronzare. bzz. ronzo a una certa distanza per non farmi sentire. bzzz. il mio bersaglio ha dimensioni eccezionali. sarà un pranzo da zar. attendo, ronzando, che si addormenti del tutto. attendo che la sua attenzione sia rivolta ai suoi sogni. e ronzo. bzzz. mi piace. bz. ronzare, intendo. poi scendo, diritta, sul braccio. zavorro le zampe alla pelle, l’infilzo con l’ago. bz. risucchio. risucchio. bz. il sangue ha un strano sapore. bzz. il sangue finisce. il braccio e svuotato. bz. sembra un guanto svuotato. bz. mi sento più grande. mi sento un po’ gonfia. bz. ronzo. bzz. ronzo radente alla gamba. mi fermo. infilzo. risucchio. cresco. mi espando. grande come una palla da tennis: ronzo. mi alzo in volo a ronzare. barcollo. le dimensioni non tornano, le dist’nze si sfuocano. bz. cosa c’era nel sangue. non seguo più i miei pensi’ri. sghignazzo. ondeg
p.s. ah, mi sono dimenticato di dirti che mia madre crede che sia tu la misteriosa responsabile delle telefonate notturne. Io nego, ma lei, non so come, non mi crede. Mi dice: certo, non siete morosi, ma vi telefonate come se lo foste. Io nego tutto. Dichiaro solo il mio nome e numero di matricola. D'altronde non saprei cosa altro rispondele. La sua logica sta prendendo una piega del tutto inaspettata. L'altro pomeriggio l'ho vista in salotto con l'aspirapolvere, le ho chiesto cosa stava facendo. Mi ha risposto: Devo lavare le federe dei cuscini. Non ho chiesto ulteriori spiegazioni. Continui a non mancarmi. Ma quandè che torni?
Ciao demente, Allora sei partita, sei arrivata? Gli aerei hanno smesso di congiurare contro di te o sei ancora seduta in aereoporto, con lo zaino in spalla, ad aspettare un volo che non esiste? E adesso, tu ed E, state mettendo a ferro e fuoco Lipsia? Qui le cose procedono più o meno come al solito. Tranne che mi è venuto improvviso lo spasmo di riprendere in mano le cose che mi riprometto sempre di leggere e che non leggo mai. Che non sarebbe male, se non volessi leggerle tutte contemporaneamente. (E se non avessi altro da fare.) Così ho tirato fuori: sei romanzi iniziati mai portati a termine, un libro di linguistica, uno di storia, uno di teoria della letteratura, uno di filosofia, un atlante geografico, qualche volume dell'enciclopedia, sette fumetti arretrati, una lista infinita di libri da comprare, due grammatiche straniere (francese e tedesco). E li ho aperti tutti e letti tutti un po’, qualche riga per ognuno senza concludere nulla, fino allo scontro serale con Ca
Incomprensibile Svegliarsi e non trovare gli occhiali. Camminare sbandando per casa. Sbattere contro una porta chiusa. Stare rintronati di fronte alla porta chiusa contro la quale si è sbattuto per qualche istante. Toccare la porta chiusa contro la quale ci si è procurati un trauma cranico di non lieve entità, per verificare che sia veramente lì. Immaginare di essere qualcun altro, dietro, alle spalle, che ti osserva mentre stai fermo davanti alla porta, senza occhiali, con un bernoccolo grande come una palla da tennis. Girarsi e sorridere alla persona che si immagina essere dietro di sé e dire: “Eh, non l’avevo vista”, intendendo la porta. Immaginarsi che il sé davanti a sé, quello che ti osserva mentre stai immobile davanti alla porta, scuota la testa e se ne vada. (Pensare che fa male all’immaginazione stare troppo da soli.) Girare in cerchio alla ricerca degli occhiali. Pensare, pensando di essere brillanti, che per trovare gli occhiali ti servirebbero gli occhiali.
I traslocatori del piano di sopra lasciano tracce bianche sulle piastrelle bordeaux del tuo salotto. Trasportano una libreria enorme in balcone, perchè da lì è più facile passarla in strada. La appoggiano in bilico sulla balaustra. La libreria di legno, azzurra, oscilla pericolosamente al vento. Piove. Da lontano, nella via, una donna sbraita: “Vai in figa detomare! Ebreo!” Adesso aspetti solo che smentisca, urlando: “Era una battuta ironica, non l’hai capito?” L’inquilina del piano di sopra deposita sculture nel tuo salotto: sta sbaraccando casa prima dei lavori che trapaneranno la tua estate. Sono delle sculture a forma di pezzi degli scacchi. C’è un pedone alto fino alle tue ginocchia. Un cavallo nero che ti arriva all’ombelico. Un re bianco che ti sfiora le spalle. Il diametro della loro base si adatta perfettamente al lato delle piastrelle. Li sposti in giro per la sala cercando impossibili posizioni di scacco matto, accerchiando la televisione.
Dopo Com’è che a un tratto, in un attimo, in un istante, da un momento all’altro - com’è che all’improvviso, senza che niente lo annunciasse, alle quattro di mattina, in bici, solo, per le strade vuote, con un freno rotto, in un secondo, da un secondo all’altro, nello scatto millimetrico di un orologio - com’è che, così, senza preavviso, dopo una serata bella - com’è che poi ti monta dentro l’angoscia? Com’è che, quindi, si gonfia lenta, dal baricentro caldo del tuo corpo, si ingrandisce piano, fino a prendere le forme dei tuoi margini, fino ad espandersi oltre i tuoi confini, diventando una bolla atmosferica di angoscia, una sfera pulviscolare di delirio, e com’è che ti risvegli dentro a una foschia che si muove con te, avanza con te, tenendoti sempre al centro, precipitandoti addosso e non ti fa fuggire? Com’è? Prima E’ una cosa istantanea e il pallone ti colpisce e il campo scompare in un bianco lumioso e credi di avere gli occhi chiusi e invece no e invece sono aperti e prov
"In giardino ci sono due ulivi piantati in un vaso. Vicino agli ulivi ci sono due tavoli; sui tavoli ci sono penne, pastelli e foglietti. Il visitatore è invitato a scrivere un messaggio di pace sui foglietti, poi appenderli con dello spago agli ulivi. Gli ulivi, ieri, erano pieni di foglietti: sui foglietti c'era scritto: "pace", per esempio, oppure "l'arte porta alla pace", o anche "basta guerre". Alcuni foglietti erano disegnati. Oppure c'erano messaggi d'amore. Si sprecavano gli insulti a berlusconi, bush e blair. (Previti in galera; Scolo a Berlusconi, per dirne due) Tutti i foglietti erano abbastanza raggiungibili. Poi ce n'era uno più in fondo, più vicino al tronco dell'albero. Era un albero molto fitto. Per raggiungere quel foglietto ho dovuto intorcolarmi all'interno dell'ulivo. Ho dovuto allungare il braccio, scostare rami e foglie. Avvicinare la testa all'interno dell'ulivo. Pensavo: se qualcuno si è