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Ma le strade di sera cambiano planimetria. Si arricciano a spirale, come minimo si intorcolano. Se di giorno una strada dritta ti porta da A a B, la stessa strada verso sera ti conduce da A ad A e poi a Q, forse a K, passando per il mare, i campi di granturco e uno stadio da baseball. Di B neanche l’ombra.
E’ così che ci si perde, mica per altro.

Il sole, alle otto e un quarto, è un filo più alto dei palazzi; è arancione: sembra la luce di mezzo di un semaforo. Attenzione, sembra dire.
Attenzione a chi? eh? Attenzione… ma senti questo. Attenzione lo vai a dire a tua sorella.

C’è lo spettacolo stasera e ci tengo. Parto un’ora e un quarto prima che inizi per arrivare presto e trovare posto. La strada la conosco PERFETTAMENTE. E’ dritta: va diretta da A a B. E infatti, dopo venti minuti di pedalate, arrivo a C. Allora rivedo mentalmente il tragitto. Decido che dovevo curvare prima. Torno indietro, curvo. Passo semafori, cunette, scritte fasciste sui muri. Arrivo a un bivio e, dopo averci pensato un po’, giro a sinistra. Incrocio case immense, stradine che curvano e ricurvano, ville con campi da calcetto e filo spinato sui cancelli. Mais ovunque. Un ristorante eritreo nel nulla. E alla fine mi rendo conto di essere tornato a C. Così, sudato, incarognito, affaticato, nonché disidratato, torno indietro, immaginandomi già la solita figura di merda.

Mancavaaaaaaaa… poco.

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