Gli spazzini arrivano sempre a mezzanotte in punto. Attraverso i vetri vasistas sento il soffio meccanico degli stantuffi che sollevano i bidoni: rifiuti secchi, non riciclabili. I camion della nettezza urbana arrivano di notte, tutti assieme in lunghe file che neanche la conquista del west, inframezzati da apecar arancioni. Sopra gli argini si distribuiscono i quartieri da pulire: le luci intermittenti e i vapori si diffondono per tutta Padova.
(Lo spazzino sordomuto trova una tavola da surf in polistirolo. In spiaggia sta seduto guardando il mare - in silenzio ovviamente - e aspetta l’onda giusta.)
C’è un vicolo che unisce il centro di Padova a casa mia. Lo percorro ogni notte, quando esco, perché mi terrorizza. Non c’è mai nessuno. Da un lato ci sono condomini, dall’altro dei muri altissimi, che a vederli così diresti che dietro non c'è nulla, ma se sbirci attraverso i cancelli hanno giardini nascosti più grandi di un campo da calcio.
-Ale!- sento. Sono concentrato a immaginare i camion della nettezza urbana. Mi immagino le carovane di camion della nettezza urbana in silhuette sugli argini di Padova, di notte. Sono concentrato a organizzare un’epopea fantascientifica di camion della nettezza urbana stellari che, rigorosamente in fila, esplorano pianeti, saccheggiando la spazzatura. Pirati della spazzatura, si intitolerebbe. E qualcuno mi chiama. E’ mezzanotte e un quarto, sto biciclettando senza una meta, in cerca di qualcuno. Ho chiamato Umberto, ma aveva altri progetti per la notte. Non so bene dove sto andando. E sento una voce che mi chiama. – Ale! – è una voce di donna, e quando la sento, nella mia perfetta concentrazione rischio di cadere, sbando, quasi mi schianto al muro. Non c’è nessuno. Neppure una macchina. Vuoto. Torno indietro. Osservo le finestre con le luci spente. Le finestre aperte per il caldo. Niente.
Ripeti con me: io non sono schizofrenico. Io non sento le voci.
Un pipistrello mi rade i capelli, mi barcolla attorno. Sono sotto la luce di un lampione. Il lampione è appeso ai fili che dividono il cielo in rettangoli ondeggianti. E il pipistrello volteggia, si abbassa, mi sfiora.
In famiglia storie tremende di pipistrelli attorcigliati ai capelli delle zie.
Io sto per diventare zio.
Scappo.
Adesso so che farò la figura dell'adolescente sfigato, anche se non sono più un adolescente sfigato, nel senso che non sono più un adolescente, c'ho la mia bella età orami anche io, ma questa cosa te la volevo dire stamattina, poi non l'ho fatto perchè non sono capace, perché come al solito mi sento cretino. Tu non capisci, io non capisco. Io non capisco, finchè non è troppo tardi, quando ormai le cazzate le ho già dette. Poi allora mi chiedo, girando di notte in bicicletta, perché dico certe cose, perché rispondo certe volte come se volessi buttare tutto nel cesso e rimanere solo. Tu non capisci che quando mi parli di X… no, non è questo che non capisci: io non capisco che quando stai così male per X, quando stai così male per qualcuno che non sono io… no, piuttosto: io non capisco che quando stai così male per una persona, e quella persona non sono io, tu non capisci che mi storci qualcosa dentro, qualche valvola si apre, io non capisco che mi sblocchi qualche canale otturato, qualche arteria si allarga, qualche bronco fa passare più ossigeno nel sangue, qualcosa sbatte contro il cervello, si crea un lago di ossigeno che atterrisce i pensieri, li coagula in un’unica entità fantasmatica che dice quelle cose e poi non ha il coraggio di negarle. Tu non capisci, io non capisco, lui non capisce, noi non capiamo, voi non capite che se tu stai così male per qualcuno, e quel qualcuno non sono io, io penso che tu non starai mai così male per qualcuno, quando quel qualcuno non è qualcun'altro, ma quel qualcuno sono io, e se tu non starai mai così male per qualcuno, quando quel qualcuno non è qualcun'altro, ma quel qualcuno sono io, significa che io, tu, tu non potrai mai stare con me così bene da farti stare così male quando succede qualcosa che mi allontani da te. Allora storci qualcosa, apri la valvola, fluisci il sangue al cervello, elabora strategie dementi, sblocca le rotelle, gira a vuoto i pensieri. Errore di sistema. Pagina non trovata. Resettare.
Poi torno a casa e ho i sensi attutiti. In questi giorni puzzo di yougurt.
Mi sento come se dovessi affondare.
(Lo spazzino sordomuto trova una tavola da surf in polistirolo. In spiaggia sta seduto guardando il mare - in silenzio ovviamente - e aspetta l’onda giusta.)
C’è un vicolo che unisce il centro di Padova a casa mia. Lo percorro ogni notte, quando esco, perché mi terrorizza. Non c’è mai nessuno. Da un lato ci sono condomini, dall’altro dei muri altissimi, che a vederli così diresti che dietro non c'è nulla, ma se sbirci attraverso i cancelli hanno giardini nascosti più grandi di un campo da calcio.
-Ale!- sento. Sono concentrato a immaginare i camion della nettezza urbana. Mi immagino le carovane di camion della nettezza urbana in silhuette sugli argini di Padova, di notte. Sono concentrato a organizzare un’epopea fantascientifica di camion della nettezza urbana stellari che, rigorosamente in fila, esplorano pianeti, saccheggiando la spazzatura. Pirati della spazzatura, si intitolerebbe. E qualcuno mi chiama. E’ mezzanotte e un quarto, sto biciclettando senza una meta, in cerca di qualcuno. Ho chiamato Umberto, ma aveva altri progetti per la notte. Non so bene dove sto andando. E sento una voce che mi chiama. – Ale! – è una voce di donna, e quando la sento, nella mia perfetta concentrazione rischio di cadere, sbando, quasi mi schianto al muro. Non c’è nessuno. Neppure una macchina. Vuoto. Torno indietro. Osservo le finestre con le luci spente. Le finestre aperte per il caldo. Niente.
Ripeti con me: io non sono schizofrenico. Io non sento le voci.
Un pipistrello mi rade i capelli, mi barcolla attorno. Sono sotto la luce di un lampione. Il lampione è appeso ai fili che dividono il cielo in rettangoli ondeggianti. E il pipistrello volteggia, si abbassa, mi sfiora.
In famiglia storie tremende di pipistrelli attorcigliati ai capelli delle zie.
Io sto per diventare zio.
Scappo.
Adesso so che farò la figura dell'adolescente sfigato, anche se non sono più un adolescente sfigato, nel senso che non sono più un adolescente, c'ho la mia bella età orami anche io, ma questa cosa te la volevo dire stamattina, poi non l'ho fatto perchè non sono capace, perché come al solito mi sento cretino. Tu non capisci, io non capisco. Io non capisco, finchè non è troppo tardi, quando ormai le cazzate le ho già dette. Poi allora mi chiedo, girando di notte in bicicletta, perché dico certe cose, perché rispondo certe volte come se volessi buttare tutto nel cesso e rimanere solo. Tu non capisci che quando mi parli di X… no, non è questo che non capisci: io non capisco che quando stai così male per X, quando stai così male per qualcuno che non sono io… no, piuttosto: io non capisco che quando stai così male per una persona, e quella persona non sono io, tu non capisci che mi storci qualcosa dentro, qualche valvola si apre, io non capisco che mi sblocchi qualche canale otturato, qualche arteria si allarga, qualche bronco fa passare più ossigeno nel sangue, qualcosa sbatte contro il cervello, si crea un lago di ossigeno che atterrisce i pensieri, li coagula in un’unica entità fantasmatica che dice quelle cose e poi non ha il coraggio di negarle. Tu non capisci, io non capisco, lui non capisce, noi non capiamo, voi non capite che se tu stai così male per qualcuno, e quel qualcuno non sono io, io penso che tu non starai mai così male per qualcuno, quando quel qualcuno non è qualcun'altro, ma quel qualcuno sono io, e se tu non starai mai così male per qualcuno, quando quel qualcuno non è qualcun'altro, ma quel qualcuno sono io, significa che io, tu, tu non potrai mai stare con me così bene da farti stare così male quando succede qualcosa che mi allontani da te. Allora storci qualcosa, apri la valvola, fluisci il sangue al cervello, elabora strategie dementi, sblocca le rotelle, gira a vuoto i pensieri. Errore di sistema. Pagina non trovata. Resettare.
Poi torno a casa e ho i sensi attutiti. In questi giorni puzzo di yougurt.
Mi sento come se dovessi affondare.