Luglio è stato sufficientemente crudele, grazie.
E non è ancora finito.
In compenso, attorno, la gente si laurea, le feste si sprecano, le mie finanze si assottigliano – anche quando non faccio i regali. Le mie autoflagellazioni non saranno volontarie, ma ci sono e visibili: ho un’ustione lunga tre centimetri lungo il polso. L mi ha chiesto se ho tentato di suicidarmi col filo interdentale. Invece è solo il segno della mia incapacità di cucinare. Diciamo: la mancanza di pazienza. Alla festa sui colli si vedono le luci della città. “Ma! è Padova?” chiede A, che cerca, come me, tutti modi più stupidi di passare il tempo. “Non so. Potrebbe essere New York.” “Be’ sì. Il profilo è più o meno lo stesso.” Marcàspio mi fa notare la selva di scarpe a punta; poi, dopo che gli ho presentato l’unica ragazza libera della festa, mi ringrazia dicendo che faccio il galletto nel pollaio. Io non sono permaloso e gliela faccio pesare per tutta la sera. Per l’informazione, io non faccio il galletto. E la tipa aveva occhi solo per Marcaspio: quando lui ha detto che del gruppo era l’unico già laureato, lei gli si è avvicinata di due passi due, credendo (ha! ingenua!) che fosse la sola persona seria di noi tre. (Ad ogni modo, quando se ne è andata non ha salutato nessuno.) E alle due non abbiamo neppure parlato di merda. Un buon risultato.
Oggi a prendere la pizza c’era una rumena. Stavo leggendo, aspettando una prosciutto e fichi, quando mi ha urtato per raggiungere il videopoker. Indossava delle adidas finte: bianche con quattro strisce parallele: le strisce erano di gel rosso, coi brillantini. Davanti erano scarpe da ginnastica, dietro erano aperte come zoccoli olandesi. La rumena infilava velocissima monete da due euro, beveva uno spriz al cynar dietro l’altro. Si è girata all’improvviso, puntando la televisione accesa, ha detto: “Il terzo è rumeno?” “Non so.” ho detto “Non ho visto” Intendeva la gara di nuoto. “Guarda la bandiera.” mi ha detto, poi si è rimessa a giocare, senza chiedere più nulla. Aveva una camicia rosa, e gli occhiali da sole sopra i capelli. Un reggiocchiali rosso le girava attorno al mento: all’inizio l’avevo scambiato per il laccio di un cappello minuscolo. Il viso sembrava giovane, ma allo stesso tempo la sua pelle aveva l’aspetto di una che si fosse fatta quattrocento lifting. Sulla mano destra, all’anulare, portava cinque anelli con brillantini. Al videopoker perdeva sempre.
Non è vero che ho preso la pizza col prosciutto e fichi, nel caso che qualcuno se lo stesse chiedendo.
“E tu smettila con i solventi!” (Che film è?)
E non è ancora finito.
In compenso, attorno, la gente si laurea, le feste si sprecano, le mie finanze si assottigliano – anche quando non faccio i regali. Le mie autoflagellazioni non saranno volontarie, ma ci sono e visibili: ho un’ustione lunga tre centimetri lungo il polso. L mi ha chiesto se ho tentato di suicidarmi col filo interdentale. Invece è solo il segno della mia incapacità di cucinare. Diciamo: la mancanza di pazienza. Alla festa sui colli si vedono le luci della città. “Ma! è Padova?” chiede A, che cerca, come me, tutti modi più stupidi di passare il tempo. “Non so. Potrebbe essere New York.” “Be’ sì. Il profilo è più o meno lo stesso.” Marcàspio mi fa notare la selva di scarpe a punta; poi, dopo che gli ho presentato l’unica ragazza libera della festa, mi ringrazia dicendo che faccio il galletto nel pollaio. Io non sono permaloso e gliela faccio pesare per tutta la sera. Per l’informazione, io non faccio il galletto. E la tipa aveva occhi solo per Marcaspio: quando lui ha detto che del gruppo era l’unico già laureato, lei gli si è avvicinata di due passi due, credendo (ha! ingenua!) che fosse la sola persona seria di noi tre. (Ad ogni modo, quando se ne è andata non ha salutato nessuno.) E alle due non abbiamo neppure parlato di merda. Un buon risultato.
Oggi a prendere la pizza c’era una rumena. Stavo leggendo, aspettando una prosciutto e fichi, quando mi ha urtato per raggiungere il videopoker. Indossava delle adidas finte: bianche con quattro strisce parallele: le strisce erano di gel rosso, coi brillantini. Davanti erano scarpe da ginnastica, dietro erano aperte come zoccoli olandesi. La rumena infilava velocissima monete da due euro, beveva uno spriz al cynar dietro l’altro. Si è girata all’improvviso, puntando la televisione accesa, ha detto: “Il terzo è rumeno?” “Non so.” ho detto “Non ho visto” Intendeva la gara di nuoto. “Guarda la bandiera.” mi ha detto, poi si è rimessa a giocare, senza chiedere più nulla. Aveva una camicia rosa, e gli occhiali da sole sopra i capelli. Un reggiocchiali rosso le girava attorno al mento: all’inizio l’avevo scambiato per il laccio di un cappello minuscolo. Il viso sembrava giovane, ma allo stesso tempo la sua pelle aveva l’aspetto di una che si fosse fatta quattrocento lifting. Sulla mano destra, all’anulare, portava cinque anelli con brillantini. Al videopoker perdeva sempre.
Non è vero che ho preso la pizza col prosciutto e fichi, nel caso che qualcuno se lo stesse chiedendo.
“E tu smettila con i solventi!” (Che film è?)