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Incomprensibile
Svegliarsi e non trovare gli occhiali. Camminare sbandando per casa. Sbattere contro una porta chiusa. Stare rintronati di fronte alla porta chiusa contro la quale si è sbattuto per qualche istante. Toccare la porta chiusa contro la quale ci si è procurati un trauma cranico di non lieve entità, per verificare che sia veramente lì. Immaginare di essere qualcun altro, dietro, alle spalle, che ti osserva mentre stai fermo davanti alla porta, senza occhiali, con un bernoccolo grande come una palla da tennis. Girarsi e sorridere alla persona che si immagina essere dietro di sé e dire: “Eh, non l’avevo vista”, intendendo la porta. Immaginarsi che il sé davanti a sé, quello che ti osserva mentre stai immobile davanti alla porta, scuota la testa e se ne vada. (Pensare che fa male all’immaginazione stare troppo da soli.) Girare in cerchio alla ricerca degli occhiali.
Pensare, pensando di essere brillanti, che per trovare gli occhiali ti servirebbero gli occhiali.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale