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Visualizzazione dei post da ottobre, 2003
Ho certi amici che solo con uno sguardo hanno una precisa misura del peso degli oggetti: se gli appoggi un mazzo di spaghetti in mano, loro, senza la minima indecisione, ti dicono: “centododici grammi, vigola sette; no… aspetta: virgola otto”. Io, invece, ho bisogno di bilance e contrappesi; un mazzo di spaghetti in mano a me pesa sempre mah etti e boh grammi. Che ne so di quanti sono tre chili e mezzo? Alla televisione è appena finito il telegiornale; mia madre si avvicina di soppiatto – un po’ curva, come se stesse camminando dietro un muro non abbastanza alto da nasconderla interamente – sussurra: vieni, vieni. La seguo e lei dice: sta giù. Accendo la luce in cucina e lei: spegni la luce. Ci appostiamo in balcone, al buio. Dal condominio di fronte , secondo piano , un uomo e una donna stanno litigando. “Io chiamo la polizia” dice mia madre “Se lui la tocca, io chiamo la polizia” Intanto vediamo delle ombre muoversi dietro le luci della finestra, sentiamo delle urla del tipo: l
Non lo so. (se vi chiedete qual è la domanda la cui risposta è "non lo so", la risposta alla vostra domanda, domanda che sarebbe: "qual è la domanda?", intendendo la domanda la cui risposta è "non lo so" essendo "non lo so" evidentemente - visto il pronome "lo" che rimanda a qualcosa detto in precedenza, in questo caso una domanda con ogni probabilità - la risposta a una domanda - la domanda di cui avete fatto domanda è: qualsiasi domanda - che non è una domanda, piuttosto una categoria di domande la cui risposta, come forse ho già detto, è: "non lo so")
Quando apro la porta del taxi ne esce Adelia con un impermeabile marrone tutto sporco di sangue. Chiudo la porta, mi infilo nel finestrino davanti per pagare: la tassista sbuffa, sbuffa, sbuffa, prende i soldi, sbuffa e dice: “La prossima volta datele l'indirizzo giusto!” Adelia è la prima volta che la vedo. Ha 75 anni. E’ la cugina della zia della cugina della congata della sorella di mia nonna, o qualcosa del genere. Mi arriva poco sopra dell’ombelico, ha i capelli ricci, un cerotto sulla fronte, gli occhiali enormi e sotto gli occhiali due occhi che sembra abbia scazzottato con Mike Tyson. Ha il braccio sinistro ingessato. Il giorno prima in pizzeria - in pantaloncini che ero appena stato a giocare a calcetto, una sconfitta, ed eravamo anche uno in più, ma Simo, come si dice, ha più culo che anima, diobuò, ha fatto 42 gol e sì che giocavamo a colpire i pali e io giocavo in pantaloni corti e camicia per il freddo, ho dei pantaloni corti orribili giusto sopra il ginocchio de
Certe giornate sono più allucinanti di altre. La novità - non del tutto novità - è che ho l’angoscia facile. La sento mormorare nei pomeriggi di pioggia, poi, se minimamente stimolata, risale il dotto biliare, si aggancia allo stomaco e lo usa come trampolino elastico. Su, giù, su, giù. Certe giornate sono più allucinate di altre. Mia sorella mi telefona per chiedere se c’è neve in montagna. Non credo, dico. Sai che ho sventato una rapina? dice. Ah sì? Erano due bambinetti. Mi hanno vista incinta, hanno pensato che non avrei reagito. Li ho sorpresi con le mani nella tasca dello zaino. Io lì non ci tengo niente, perché lo so che è più esposta. E allora, le chiedo, che hai fatto? Ho cominciato a urlare: laaaadri! aiuuuuto! laaaadri! E che è successo? Uno dei due mi ha fatto la faccia cattiva, sai come i cani? Ha ringhiato, grrrr, così, ha stretto gli occhietti malefici. E tu? Io ho cominciato a colpirli con l’ombrello. Zac. Zac. Zac. Non se l’aspettavano. Certe giornate sono più giornate
“Io e te, Thomas, abbiamo un problema”, dici, “Dobbiamo parlare.” “Scusi, le serve aiuto?”: il commesso ti si è avvicinato silenzioso, ti si è acquattato dietro e, a tradimento, ti ha posto la domanda: “Posso darle una mano?” “No”, dici, “sto parlando con lui” e indichi davanti a te, una pila di libri. Il commesso, con un movimento antiorario del collo, fissa gli occhi sul libro; con lo stesso movimento del collo, ma in senso orario, guarda te: con lo sguardo leggermente annacquato, fa un passo indietro. Poi un altro. Un altro ancora. Afferra il telefono. Schiaccia un bottone rosso. Ti sembra che un nuovo ronzio si diffonda nella libreria, sotto la musica. Il commesso, al telefono, dice: “Sì”, dice, “Ce n’è un altro”, tiene la mano a coppa sulla cornetta come per non farsi sentire, ma si sente benissimo “Sì. Ancora Pynchon. Cosa devo fare?”, annuisce, “Capisco. Sì. Lo lascio fare. Sì. Se sbraita chiamo la squadra anti-Pynchon. Sì. Ok.” Tu intanto hai ripreso a fissare L’arcobaleno
1. Sto sviluppando un’insana passione per la marmellata di ciliegie dentro le brioches. Molto, molto insana. 2. Mi sono svegliato di colpo. Era ancora buio. Ho spalancato gli occhi. Avevo le coperte tirate. La testa sul cuscino. Sul soffitto vedevo le impronte delle zanzare spiaccicate. Come ho aperto gli occhi ho cominciato a cantare: burn baby burn, disco infernoo . 3. Disco inferno continua a perseguitarmi da tre giorni. E non so perchè. 4. Scaldo l’acqua per il the in un pentolino. Quando l’acqua bolle, metto la mano in mezzo al vapore. Ho le mani così fredde che il vapore si condensa in un secondo. La mano sgocciola subito. Come si dice: gronda . 5. grazie del libro grazie del libro grazie del libro gra, cià cià cià .
Ceni a casa, stasera?, dice mia madre sulla porta dello studio. Sì, mangio a casa. Bene, dice mia madre, perché ci sono le orate . Bene, dico, le orate. … fratres , dice lei Cosa? Fratres , dice. Cosa stai dicendo? Orate fratres . Non lo sai il latino? Sì, ma… Orate fratres , ripete e se ne va. Ho sognato il cane degli Inumani. Non era proprio il cane degli Inumani; una specie: diciamo: la stessa specie. Un bulldog, credo. Gli Inumani sono dei personaggi della Marvel: una popolazione di superesseri che vive sul lato oscuro della luna. Il cane degli Inumani è un bulldog gigante con un diapason sulla fronte che teletrasporta le persone dove vogliono. Il cane che ho sognato era un bulldog nero, femmina, incinta. Ho sognato un bulldog nero che partoriva, ma non partoriva cuccioli. Partoriva i personaggi della prima serie di star trek, alti dieci centimetri e ammassati assieme come un fascio di asparagi. I personaggi di star trek avevano dei maglioni a girocollo rosso – che era
Io, sebbene… quantunque, ad ogni modo; in effetti, d’altronde benché… se; di-a-da in osservanza al fatto che; comunque vadano le cose, tra… Ma, sì, decisamente, eppure, pare… che io no, non lo so, tra il qua e il là; di su, di giù, a livello di… no, niente. Questa, ecco: questa è la qualità dei miei ragionamenti in questi giorni. Io non lo so. Le cose. Gli oggetti. Gli oggetti in mano mia - io credo di avere il potere di farli invecchiare più velocemente. Decadono. Gli oggetti, dico. Si rompono, si impolverano proprio mentre li stringo. Non so. E’ l’entropia, mi dicono. Ma cos’è: si concentra tutta nelle mie mani, ‘sta cazzo di entropia? la bici ha perso misteriosamente un bullone, il bullone che tiene fermo il portapacchi. ora, quando pedalo, il portapacchi oscilla e vibra, risuona colpendo la forcella posteriore, annunciando il mio arrivo a cinque chilometri di distanza. ma il problema è: è mai possibile che un bullone con un diametro di cinque millimetri, con uno s
AM ha un soprannome e il suo soprannome è: Porco D.o.c. (pòrcodoc) Circa dieci anni fa certe cabine telefoniche impazzivano e lasciavano telefonare ovunque, per tutto il tempo, con solo duecento lire. Una cabina di questo tipo l’avevamo trovata dietro la Stanga. Ogni sera, lungo i marciapiede che portavano a questa cabina, c’erano file di immigrati che chiamavano a casa. E c’eravamo noi, che in gruppo telefonavamo agli 144. Il pòrcodoc era un mio ex-compagno di classe, bocciato un paio di volte. Non lo chiamavamo ancora pòrcodoc. Abbiamo cominciato a chiamarlo così quando lo abbiamo sorpreso alla cabina, da solo, col walkman in mano, intento a registrarsi le conversazioni con la telefonista pornografica. Diceva che lo faceva per un suo amico. Già. Certo. L’ho incontrato ieri, dopo anni che non ci vedevamo. - Ciao! - Ciao. - Da quanto tempo! - Eh, sì. - Come va? Cosa stai facendo? - Studio. Mi guarda, gli occhi spalancati. Si mette a posto gli occhiali.
(Poi monterà la nausea e il piccolo nazista a molla che tieni sommerso nell’ipotalamo scatterà in piedi, prenderà carica, travolgerà il tuo perplesso umanesimo e, marciando a passo d’oca - salutando a destra e a sinistra (heil! heil! heil!) – comincerà a urlarti nell’orecchio.) Certe mattine i sogni ti si attorcigliano alle braccia: se tenti di srotolarli via, se provi a disintorcolarti, ti accorgi che sono confitti nella pelle con spine a uncino. Provi a tirare, ma gli uncini dei sogni ti lacerano la pelle, ti scarnificano, sanguinano. In questi casi tenti la mossa mimetizzazione. Procedi verso mediaworld a piccole pedalate, raccontandoti che il tuo scopo è comprare qualche dividì in offerta, sapendo già che invece verrai solo investito dallo schifo. E quando la nausea salirà, il piccolo Goebbels che è in te, insieme col piccolo Himmler (heil! heil! heil!) che pure è in te, ti marceranno dentro urlando: Che schifo la gente! Che schifo l’umanità! I due gireranno in coppia, a bra
Se questa settimana (intensiva e in qualche modo fallimentare) – no insomma, dicevamo: le sconnessioni – se – …ricominciamo. La biblioteca in cui mi sono trasferito a vivere ha i soffitti alti – 102 metri, 110, forse, - mi hanno detto che i soffitti sono affrescati – dicono che gli affreschi siano belli, se solo ci vedessi così lontano – ... va be' che anche se ci vedessi fin là… - ai bei tempi, quando non era ancora accoppiato, Ducc aveva uno sguardo tentacolare – … il fatto è che a un certo punto, l’anno scorso, hanno cominciato a precipitare pezzi di intonaco sui tavoli – tipo quella scena in Truman Show dove piomba al suolo una lampada dal cielo (lampada non è la parola giusta, lampada non è la parola giusta) MC. ha 294 anni, vive nella biblioteca, è il padre di uno dei docenti - docente an