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Visualizzazione dei post da 2003
- Voi mi spaventate - dici - Mi fate paura. - Stai guardando il marciapiede parallelo al tuo, dall'altro lato della strada. - Mi terrorizzate - dici alla folla sul marciapiede. Piove. La folla è ferma davanti all'inferriata di un cinema che aprirà tra mezz'ora. Sono in tantissimi. Sono vestiti di nero. Stanno aspettando di entrare a vedere "Natale in India". Tu, sul tuo marciapiede, da solo, a pochi metri, con una borsa di plastica nella mano sinistra, un ombrello mezzo rotto nella mano destra, li fissi. Una signora si volta, ti guarda sorridendo e con un gesto della mano ti invita ad avvicinarti - Vieni - dice. Si girano altri e ti osservano dall'altro lato del marciapiede, sorridono. - Vieni - dicono - Avvicinati. - - No - dici - Dai - ti dicono - non vorrai mica fare il solito snob - - No, è che... - dici, o almeno ci provi, perchè ti sembra che la tua voce si sia fatta più sottile. - Avvicinati - dice un ragazzino con gli occhiali - Io... - dici, e
Evidentemente devo espiare qualcosa. Non è solo il fatto di essere stato attaccato da uno sciame di cavallette; o la banale pioggia di rane che mi ha travolto oggi pomeriggio (Ale, ma cos'hai nel cappuccio? - Eh?... E' una rana - Ma scusa, che ci fa una rana nel tuo cappuccio? - Be'... mi è piovuta addosso - Una rana? - Non una rana, una pioggia di rane - Ma se c'è il sole! - Eh, è stato un attimo...) E' che le macchine hanno deciso di dichiararmi guerra. Alle nove di mattina, per controllare la posta elettronica, accendo il computer. Il computer esplode. Infatti adesso sto scrivendo dalla biblioteca. Il computer di casa mia fa PUM - un pum attutito - e non si accende. Contemporaneamente si sente nell'aria un odore di plastica bruciata. Ok. Ho solo perso qualche capitolo della mia tesi, in quel computer. E qualche altra cosa di minore importanza, che so, tutto quello che ho scritto dal 1992 a oggi. So già la domanda. Me l'hanno fatta in dieci
Mio nipote Mio nipote non è un bambino, è una macchina per le scoregge. Gli tocchi la pancia, scoreggia. Gli tocchi un piede, scoreggia. Gli batti una mano, scoreggia. Gli accarezzi la testa, scoreggia. Ti sembra che ti stia sorridendo ( Ooooh sta sorridendo ) e invece sta solo torcendo la faccia per lo sforzo di scoreggiare. Gli sorridi, scoreggia. Gli canti una canzone, scoreggia. Dorme, scoreggia. Scoreggia, scoreggia. Più che Emiliano, d'ora in poi lo chiamerò Zeppelin. Inglese, internet, itterizia Per rispetto della privacy, al posto dei nomi dei tre protagonisti di questo episodio - due laureati e uno quasi - userò delle sigle in modo da rendere irriconoscibile la loro identità: X , Y , Z . Più o meno le otto di sera. Un bar gestito da cinesi. Grado alcolico: uno spriz (quindi: quasi sobri). - Allora Z , com’è quel disco dei Wire ? - Bello. Bello. Stupendo! - Sì, ma che vuol dire Wire ? - Wire? Wire vuol dire filo… cavo elettrico. - Ah sì? Io ho s
E io che, cazzo, pensavo di averti espulso dai miei sogni, te e tutti i tuoi oggetti: la molla per capelli a forma di serpente, la nikon col grandangolo, i bicchieri rubati. E invece ritorni, di prima mattina, ritorni, insieme con i disastri aerei, l’incarcerazione preventiva, la pulizia della casa. (Poi, durante il giorno, le immagini si stemperano, si diluiscono e scompaiono lasciandomi come sempre insufficiente: l’ombra dell’ombra di me stesso - pensavo camminando stamattina - che potrebbe sembrare una cosa impossibile, perché se illumini l’ombra, l’ombra scompare, e invece la mia è così densa, pensa, pensavo, che se la illumini proietta un’altra ombra più grande, più flebile, irreale)
La mummia di Raymond Carver che tengo in garage, avvolta in un lenzuolo, ieri notte ha lacrimato sangue. Càpita, alle volte. Credo lo faccia in concomitanza con altri eventi del genere. Forse per invidia. Non aprirò un santuario finchè la Comunità Europea non deciderà di finanziarmi adeguatamente. Il cero votivo a forma di testa di Lenin che sta accanto alla lampada in camera mia, invece, sta accumulando una dose interessante di polvere. Ancora un po’ e sulla testa gli si sarà formato un toupet perfetto e grigio – un diabolico tupè. I martellamenti che dalle otto e mezza fino alle sette di sera continuano imperterriti, non aiutano il mio rush finale verso una laurea che mi ha debilitato. Adesso ve lo posso dire: stanno costruendo, nell’appartamento di sopra, il tratto di ferrovia su cui passerà il treno per Yuma. - Elephant è un bel film. - Ma chi ti ha detto niente? Io volevo sapere la ricetta per… - A me, per esempio, è piaciuto molto. - Non ne dubito, ma senti: come si
Stai bene? Sì, grazie. E tu? Bene, grazie… … Sei sicura di star bene? Sì sì … … Sicura al cento per cento? Non ti senti un po’ male? No, perché? Nessun malore? Ansia? Pesantezza? Mal di testa? Nooo. Mi vuoi dire perché? Niente, no, niente… Chiedevo. … … Bruciori allo stomaco? Ulcera? No, smettila, sto bene. Tonsille? Tutto a posto con le tonsille? Ma che cazzo hai stamattina? Mi vuoi spiegare? No, mi chiedevo. Sei stanca? No. Sto lavorando. Dormito male? Incubi? Perdi i capelli? Noo. Senti le voci? vedi un’aura luminosa attorno alle persone? Ma che è, il Minnesota test? E il fegato? Tutto bene il fegato? La milza? Ma la smetti? Vene varicose? Emorr… SMETTILA! … … Ma tu, non eri juventina? … … … In effetti forse un po' di febbre ce l'ho. Mia madre ha tirato fuori dalla cassapanca le sciarpe dell’Inter, gli striscioni con su scritto Lothar Mattheus campione del Multiverso. Le ha appese al posto della bandiera della pace. Il libraio juve
Per quanto io sia sicuro che il kebab di ieri sera alle 11.00 abbia influito sulla qualità dei miei sogni, l’incubo che mi ha svegliato alle cinque di mattina e che prevedeva la morte per template, mi appare oggi come un chiaro messaggio dell’inconscio - più che un messaggio una minaccia, e cioè: smettila, smettila di fottermi . Ieri mattina non era brutto tempo, ma poi, nel primo pomeriggio, le nuvole hanno coperto tutto. Scorrevano, grigie, verso le Piazze senza che si potesse vedere uno squarcio, senza che apparisse in lontananza un confine che le delimitasse. Nuvole basse e continue che minacciavano burrasca. Impietosita dal mio post precedente, M. è venuta a cucinare per me a pranzo. Ha comprato le scaloppine. Ho sempre i riflessi lenti: sul momento non ho detto nulla, ma erano delle scaloppine fantascientifiche! meravigliose! sublimi! da sciogliere le ossa e l’apparato digerente! Mai mangiate scaloppine così buone! Dopo pranzo, in balcone, M. mi dice di aver incontrato
Ti scrivo dalla biblioteca in cui mi sono trasferito. Qui è pieno di cadaveri e di voci di cadaveri. TS mi osserva da cinque minuti, senza che io me ne renda conto. Vede che sto fissando il monitor senza toccare i tasti, ipnotizzato. Mi scuote una spalla e dice, accademico, “Pensa che non sarà finita. Ci saranno altri tre anni così!” Io sorrido a stento. Lo guardo come se fosse un pazzo. Lui ride e, mentre ride, pop! gli salta via un occhio sulla mia tastiera. “Altri tre anni!” ripete, senza accorgersi di niente. Mi batte con la mano aperta sulla scapola. Sorridendo pacatamente, faccio il gesto di buttarmi fuori dalla finestra. “Ah!”, fa lui, “Ah! Deja-vu !” “Eh?” TS alza l’indice della mando destra e dice: “L’hai già fatta, questa scenetta! Deja-vu ! Deja-vu !” Se ne va. Il suo occhio, intanto, si è squagliato sui miei tasti. Lo sai. Da quando è nato mio nipote, mia madre sta sempre da mia sorella- io, ogni sera, devo preparare da mangiare a mio padre che torna dal lavoro. Og
Verrà la morte e avrà gli occhi di un muratore marchigiano con un trapano calibro .44 nella fondina ascellare e pantaloni di velluto beige a zampa di elefante. Il punto di psicosi arriva, come al solito, a tradimento da dietro, nel momento in cui, alla tua destra, una ragazza che non ti sta ascoltando dice, seria e scocciata, madonnamia. In quel momento ti sembra che tutti ti guardino con occhio allibito; la tua coscienza fa un passo indietro, si mette ad ascoltare il tuo racconto e si imbarazza per te, contro di te. E mentre un secondo prima ti sentivi divertito ed esaltato, adesso sei incerto se continuare a parlare o zittirti di scatto. (Intanto ti si afflosciano le spalle, ti cadono i capelli, ti si ammolliscono le unghie delle mani.) - Cosa dobbiamo fare? - Prendi il tagliapizza - Questa rotella qui? - Sì, adesso incidigli la fronte, così. Segui la circonferenza. Ok. Premi un po’ di più. - E’ duro. - Spingi un po’ più forte. Bene. Adesso apri. Ok. Hai comprato la forma
Il semaforo. Accanto al semaforo - alla sinistra del semaforo - ci sono io. E il semaforo è rosso. Piove. Ho un ombrello. Accanto a me, alla mia sinistra, c’è una signora. Più bassa di me. Visti da dietro, siamo perfettamente in scala. Il semaforo, io, la signora. Anche la signora ha un ombrello. Infatti, piove. Mi sembra di averlo già detto. Suona il telefono. Rispondo. Dico: - Pronto? Risponde una donna: - Pronto? Chi parla? - No, mi scusi, chi parla? - Ho risposto io al telefono. - No, ho risposto io al telefono. Silenzio (tre secondi) - Ho risposto io al telefono. Chi parla? - Anche io ho risposto al telefono. Ma chi è lei? - No, chi è lei ? - Facciamo così. Lei adesso mette giù e così anch'io. - Ma come faccio a sapere che poi lei mette giù veramente? Silenzio (cinque secondi) - Scusi? - Io metto giù. Invece lei no e mi occupa il telefono. - Perché dovrei fare una cosa del genere? - E chi lo sa? Lei è un acher ? - Un che? - Un acher , quelli che
Quando ho detto a P. che mia sorella era incinta - sarà stato giugno, forse luglio - lui mi ha guardato come se fossi un deficiente, con le palpebre mezzo abbassate e un angolo della bocca (il sinistro) tirato indietro. Embé , mi ha detto, E allora? E’ di moda , mi ha detto. Non lo vedi che lo fanno tutti? Nell’appartamento di sopra hanno iniziato i lavori di restauro, io c’ho già le balle girate. Da due settimane sento l’esigenza di comprare delle schede. Schede di cartone 10X15, dove prendere appunti. La cartoleria in cui entro espone in vetrina un enorme tricolore afflosciato. Sul tricolore, un nastro nero di stoffa appoggiato a caso. Mi infilo tra i quaderni, e, mentre cerco (inutilmente) le schede che piacciono a me, mi scopro a canticchiare You make me feel like a natural woman. Il che mi rende piuttosto perplesso, perché non mi sento proprio natural woman . Soprattutto natural , a dirla tutta. Sarà che ci sto più attento, ma, mentre canticchio, mi accorgo di es
Di domenica, il centro di padova è pieno di facce da culo che passeggiano. Compreso il sottoscritto. In cerca di una farmacia aperta, digrigno i denti, strizzo gli occhi, trattengo l’impulso di colpire i passanti con l’ombrello. E’ uno sforzo sovrumano. Trattenere l’impulso. Di colpire i passanti. Ciaaaaaooooooooo . Da un gruppo di filippini davanti a me, tutti alti uguali (1.60), mi si avvicina un ragazzo – avrà sedici anni – capelli corti, baffi e un accenno di barba. Gli altri si zittiscono di colpo. E’ Mirk. Al tempo in cui vivevo una vita che non era simile in tutto e per tutto a quella di uno stilita, lo aiutavo nel doposcuola. Mirk, al doposcuola, non capiva un cazzo. Adesso parla un italiano quasi perfetto. Ehi Mirk. Ehi. Come va? Bene? – Siamo di fronte a un’internet point, gli chiedo se è qui a giocare, lui alza le mani e scrive su una tastiera immaginaria; con un sorriso enorme dice: no: chat! Sei migliorato con l’italiano… Ostia! so anche il dialetto! Cambiando
A questo punto ho il sospetto di avere, nella calotta cranica, al posto del cervello, una specie di stomaco: una sacca vuota di colore rosa/violacea, poco elastica, che amalgama, scioglie, non assimila le informazioni, anzi, le espelle non so dove. Alla laurea di D, oggi, i suoi amici gli hanno fatto indossare guanti e calzini pieni di nutella mista a larve bianchiccie, ancora in vita. Dopo averlo cosparso ovunque di miele, farina, uova e nastro adesivo, mentre leggeva il papiro, gli lanciavano le larve rimaste a mo’ di coriandoli. Diciamo. Non è. Diciamo. Un periodo. Diciamo. Meraviglioso. Non è. Diciamo. Non. No. Proprio. Ha gli occhi crudeli, come fosse cinese, ma a volte penso a lei e non riesco a smettere. L'uomo di gennaio, David Mithcell
Le patate al forno che ti sei preparato in un momento di disperazione - il tuo frigo conteneva, a parte le patate, tre spicchi d’aglio, una confezione di ketchup, un vasetto di pesto scaduto dal 1862, una maschera di bellezza congelata - ti hanno ustionato il palato. Non potevi aspettare che si raffreddassero, no. Dovevi per forza mangiarle quando ancora la loro temperatura rasentava i 451 gradi. Adesso, nel chiudere la bocca, gli incisivi inferiori sfiorano la gengiva superiore provocandoti scosse e punture. Per riuscire a dormire devi studiare complesse posture della lingua in modo da creare un cuscinetto che attutisca il dolore. Poi ti svegli e parli tutto fuffoso. “Come stai stamattina Ale?” “Fefe” (Domani hai un incontro col guru. Voglio vederti a difendere un capitolo indifendibile, scritto in velocità e consegnato non finito perché ti stava prendendo l’ansia – ansia che non solo ti sorprende quando meno te l’aspetti, ma ti sorprende anche quando te l’aspetti: sai che l’ansia
Esperienza mistica n. 452 Con uno scatto senza suono, il lucchetto della bicicletta si apre. Lo richiudo attorno alla sella. Una goccia mi colpisce la guancia. Guardo in alto, seguo la prospettiva del muro a cui la bici è appoggiata. C’è il sole. Dal cornicione del palazzo spunta la coda di un colombo. Se strizzo gli occhi sono sicuro di vedere il suo buco del culo ancora spalancato. Abbasso lo sguardo sulla sella, la sella ha una minuscola chiazza bianca. Giro la testa a sinistra, verso il braccio, e sulla manica della giacca (marrone scuro) s’è spalmata una chiazza marrone chiaro. In tutto questo le mie mani sono rimaste fisse sul lucchetto. Dal cornicione la coda del colombo è sparita, evidentemente si è sporto solo dopo aver preso bene la mira. Ipotesi di sterminio. Minimiccette dal potenziale esplosivo di una carica magnum di C4 da graffettare ai chicchi di mais. Colombi che esplodono in volo. Esperienza mistica n. 77/bis Nek, da Ricordi, ha la faccia così scura da sem
Come quando, al primo morso, la risposta a una domanda che da poco ti rimbalzava in testa parte dalla forchetta che trattiene mezzo raviolo al vapore, comperato in un take away cinese solitario e isolato, polveroso, nel quale una commessa col piumino blu guarda, in piedi e con le braccia incrociate, rossa in viso, un quiz in cinese coi sottotitoli in cinese a una televisione appesa in alto a destra accanto al murale del dragone, impolverato anch’esso, e, una volta preso l’ordine dei ravioli al vapore – verdure e gamberetti – si dirige in cucina e ci passa dei minuti sternutendo, presumibilmente sui ravioli stessi, poi te li consegna in una vaschetta di alluminio piena di bacilli che richiude con il domopak e tu, non contento, ti fai dare anche una confezione minuscola di salsa di soia in evidente stato solido, per dirigerti finalmente a casa dove, da solo, coi vestiti che puzzano di fritto, prepari un piatto su cui disponi i ravioli, rigidi, in pieno rigor mortis, poi ti siedi e ne add
Ho certi amici che solo con uno sguardo hanno una precisa misura del peso degli oggetti: se gli appoggi un mazzo di spaghetti in mano, loro, senza la minima indecisione, ti dicono: “centododici grammi, vigola sette; no… aspetta: virgola otto”. Io, invece, ho bisogno di bilance e contrappesi; un mazzo di spaghetti in mano a me pesa sempre mah etti e boh grammi. Che ne so di quanti sono tre chili e mezzo? Alla televisione è appena finito il telegiornale; mia madre si avvicina di soppiatto – un po’ curva, come se stesse camminando dietro un muro non abbastanza alto da nasconderla interamente – sussurra: vieni, vieni. La seguo e lei dice: sta giù. Accendo la luce in cucina e lei: spegni la luce. Ci appostiamo in balcone, al buio. Dal condominio di fronte , secondo piano , un uomo e una donna stanno litigando. “Io chiamo la polizia” dice mia madre “Se lui la tocca, io chiamo la polizia” Intanto vediamo delle ombre muoversi dietro le luci della finestra, sentiamo delle urla del tipo: l
Non lo so. (se vi chiedete qual è la domanda la cui risposta è "non lo so", la risposta alla vostra domanda, domanda che sarebbe: "qual è la domanda?", intendendo la domanda la cui risposta è "non lo so" essendo "non lo so" evidentemente - visto il pronome "lo" che rimanda a qualcosa detto in precedenza, in questo caso una domanda con ogni probabilità - la risposta a una domanda - la domanda di cui avete fatto domanda è: qualsiasi domanda - che non è una domanda, piuttosto una categoria di domande la cui risposta, come forse ho già detto, è: "non lo so")
Quando apro la porta del taxi ne esce Adelia con un impermeabile marrone tutto sporco di sangue. Chiudo la porta, mi infilo nel finestrino davanti per pagare: la tassista sbuffa, sbuffa, sbuffa, prende i soldi, sbuffa e dice: “La prossima volta datele l'indirizzo giusto!” Adelia è la prima volta che la vedo. Ha 75 anni. E’ la cugina della zia della cugina della congata della sorella di mia nonna, o qualcosa del genere. Mi arriva poco sopra dell’ombelico, ha i capelli ricci, un cerotto sulla fronte, gli occhiali enormi e sotto gli occhiali due occhi che sembra abbia scazzottato con Mike Tyson. Ha il braccio sinistro ingessato. Il giorno prima in pizzeria - in pantaloncini che ero appena stato a giocare a calcetto, una sconfitta, ed eravamo anche uno in più, ma Simo, come si dice, ha più culo che anima, diobuò, ha fatto 42 gol e sì che giocavamo a colpire i pali e io giocavo in pantaloni corti e camicia per il freddo, ho dei pantaloni corti orribili giusto sopra il ginocchio de
Certe giornate sono più allucinanti di altre. La novità - non del tutto novità - è che ho l’angoscia facile. La sento mormorare nei pomeriggi di pioggia, poi, se minimamente stimolata, risale il dotto biliare, si aggancia allo stomaco e lo usa come trampolino elastico. Su, giù, su, giù. Certe giornate sono più allucinate di altre. Mia sorella mi telefona per chiedere se c’è neve in montagna. Non credo, dico. Sai che ho sventato una rapina? dice. Ah sì? Erano due bambinetti. Mi hanno vista incinta, hanno pensato che non avrei reagito. Li ho sorpresi con le mani nella tasca dello zaino. Io lì non ci tengo niente, perché lo so che è più esposta. E allora, le chiedo, che hai fatto? Ho cominciato a urlare: laaaadri! aiuuuuto! laaaadri! E che è successo? Uno dei due mi ha fatto la faccia cattiva, sai come i cani? Ha ringhiato, grrrr, così, ha stretto gli occhietti malefici. E tu? Io ho cominciato a colpirli con l’ombrello. Zac. Zac. Zac. Non se l’aspettavano. Certe giornate sono più giornate
“Io e te, Thomas, abbiamo un problema”, dici, “Dobbiamo parlare.” “Scusi, le serve aiuto?”: il commesso ti si è avvicinato silenzioso, ti si è acquattato dietro e, a tradimento, ti ha posto la domanda: “Posso darle una mano?” “No”, dici, “sto parlando con lui” e indichi davanti a te, una pila di libri. Il commesso, con un movimento antiorario del collo, fissa gli occhi sul libro; con lo stesso movimento del collo, ma in senso orario, guarda te: con lo sguardo leggermente annacquato, fa un passo indietro. Poi un altro. Un altro ancora. Afferra il telefono. Schiaccia un bottone rosso. Ti sembra che un nuovo ronzio si diffonda nella libreria, sotto la musica. Il commesso, al telefono, dice: “Sì”, dice, “Ce n’è un altro”, tiene la mano a coppa sulla cornetta come per non farsi sentire, ma si sente benissimo “Sì. Ancora Pynchon. Cosa devo fare?”, annuisce, “Capisco. Sì. Lo lascio fare. Sì. Se sbraita chiamo la squadra anti-Pynchon. Sì. Ok.” Tu intanto hai ripreso a fissare L’arcobaleno
1. Sto sviluppando un’insana passione per la marmellata di ciliegie dentro le brioches. Molto, molto insana. 2. Mi sono svegliato di colpo. Era ancora buio. Ho spalancato gli occhi. Avevo le coperte tirate. La testa sul cuscino. Sul soffitto vedevo le impronte delle zanzare spiaccicate. Come ho aperto gli occhi ho cominciato a cantare: burn baby burn, disco infernoo . 3. Disco inferno continua a perseguitarmi da tre giorni. E non so perchè. 4. Scaldo l’acqua per il the in un pentolino. Quando l’acqua bolle, metto la mano in mezzo al vapore. Ho le mani così fredde che il vapore si condensa in un secondo. La mano sgocciola subito. Come si dice: gronda . 5. grazie del libro grazie del libro grazie del libro gra, cià cià cià .
Ceni a casa, stasera?, dice mia madre sulla porta dello studio. Sì, mangio a casa. Bene, dice mia madre, perché ci sono le orate . Bene, dico, le orate. … fratres , dice lei Cosa? Fratres , dice. Cosa stai dicendo? Orate fratres . Non lo sai il latino? Sì, ma… Orate fratres , ripete e se ne va. Ho sognato il cane degli Inumani. Non era proprio il cane degli Inumani; una specie: diciamo: la stessa specie. Un bulldog, credo. Gli Inumani sono dei personaggi della Marvel: una popolazione di superesseri che vive sul lato oscuro della luna. Il cane degli Inumani è un bulldog gigante con un diapason sulla fronte che teletrasporta le persone dove vogliono. Il cane che ho sognato era un bulldog nero, femmina, incinta. Ho sognato un bulldog nero che partoriva, ma non partoriva cuccioli. Partoriva i personaggi della prima serie di star trek, alti dieci centimetri e ammassati assieme come un fascio di asparagi. I personaggi di star trek avevano dei maglioni a girocollo rosso – che era
Io, sebbene… quantunque, ad ogni modo; in effetti, d’altronde benché… se; di-a-da in osservanza al fatto che; comunque vadano le cose, tra… Ma, sì, decisamente, eppure, pare… che io no, non lo so, tra il qua e il là; di su, di giù, a livello di… no, niente. Questa, ecco: questa è la qualità dei miei ragionamenti in questi giorni. Io non lo so. Le cose. Gli oggetti. Gli oggetti in mano mia - io credo di avere il potere di farli invecchiare più velocemente. Decadono. Gli oggetti, dico. Si rompono, si impolverano proprio mentre li stringo. Non so. E’ l’entropia, mi dicono. Ma cos’è: si concentra tutta nelle mie mani, ‘sta cazzo di entropia? la bici ha perso misteriosamente un bullone, il bullone che tiene fermo il portapacchi. ora, quando pedalo, il portapacchi oscilla e vibra, risuona colpendo la forcella posteriore, annunciando il mio arrivo a cinque chilometri di distanza. ma il problema è: è mai possibile che un bullone con un diametro di cinque millimetri, con uno s
AM ha un soprannome e il suo soprannome è: Porco D.o.c. (pòrcodoc) Circa dieci anni fa certe cabine telefoniche impazzivano e lasciavano telefonare ovunque, per tutto il tempo, con solo duecento lire. Una cabina di questo tipo l’avevamo trovata dietro la Stanga. Ogni sera, lungo i marciapiede che portavano a questa cabina, c’erano file di immigrati che chiamavano a casa. E c’eravamo noi, che in gruppo telefonavamo agli 144. Il pòrcodoc era un mio ex-compagno di classe, bocciato un paio di volte. Non lo chiamavamo ancora pòrcodoc. Abbiamo cominciato a chiamarlo così quando lo abbiamo sorpreso alla cabina, da solo, col walkman in mano, intento a registrarsi le conversazioni con la telefonista pornografica. Diceva che lo faceva per un suo amico. Già. Certo. L’ho incontrato ieri, dopo anni che non ci vedevamo. - Ciao! - Ciao. - Da quanto tempo! - Eh, sì. - Come va? Cosa stai facendo? - Studio. Mi guarda, gli occhi spalancati. Si mette a posto gli occhiali.
(Poi monterà la nausea e il piccolo nazista a molla che tieni sommerso nell’ipotalamo scatterà in piedi, prenderà carica, travolgerà il tuo perplesso umanesimo e, marciando a passo d’oca - salutando a destra e a sinistra (heil! heil! heil!) – comincerà a urlarti nell’orecchio.) Certe mattine i sogni ti si attorcigliano alle braccia: se tenti di srotolarli via, se provi a disintorcolarti, ti accorgi che sono confitti nella pelle con spine a uncino. Provi a tirare, ma gli uncini dei sogni ti lacerano la pelle, ti scarnificano, sanguinano. In questi casi tenti la mossa mimetizzazione. Procedi verso mediaworld a piccole pedalate, raccontandoti che il tuo scopo è comprare qualche dividì in offerta, sapendo già che invece verrai solo investito dallo schifo. E quando la nausea salirà, il piccolo Goebbels che è in te, insieme col piccolo Himmler (heil! heil! heil!) che pure è in te, ti marceranno dentro urlando: Che schifo la gente! Che schifo l’umanità! I due gireranno in coppia, a bra
Se questa settimana (intensiva e in qualche modo fallimentare) – no insomma, dicevamo: le sconnessioni – se – …ricominciamo. La biblioteca in cui mi sono trasferito a vivere ha i soffitti alti – 102 metri, 110, forse, - mi hanno detto che i soffitti sono affrescati – dicono che gli affreschi siano belli, se solo ci vedessi così lontano – ... va be' che anche se ci vedessi fin là… - ai bei tempi, quando non era ancora accoppiato, Ducc aveva uno sguardo tentacolare – … il fatto è che a un certo punto, l’anno scorso, hanno cominciato a precipitare pezzi di intonaco sui tavoli – tipo quella scena in Truman Show dove piomba al suolo una lampada dal cielo (lampada non è la parola giusta, lampada non è la parola giusta) MC. ha 294 anni, vive nella biblioteca, è il padre di uno dei docenti - docente an
Mi svegliavo a intermittenza. Dalla finestra aperta mi arrivavano gli echi degli allarmi. Alle cinque di mattina, mia sorella discuteva con suo marito: “Non c’è luce”, diceva. Di lui sentivo solo il suono della voce, ma non decifravo le parole. Alle cinque e mezza l’ho sentita dire: “La luce non è ancora tornata”. La prima cosa che ho pensato, da semi-lucido, è stata: “Che cosa ha combinato mia madre, stavolta?”. Io e mia sorella, poco dopo, ci siamo incontrati in cucina. Lei col pancione – è incinta, all’ottavo mese - io nel tentativo di ristabilire l’elettricità. “E’ tutto il quartiere che è al buio.” mi ha detto. Sapere che il black out non era solo una questione di casa nostra, non mi convinse dell’innocenza di mia madre, anzi. Nel pomeriggio scoprii che mia sorella aveva pensato la stessa cosa, quasi con le stesse parole. Tuttora non siamo sicuri che lei non c'entri nulla. Il che - a parte dar conto, forse , di una sottile malafede - fa capire di quali catastrofi riteniamo c
Quando ho urlato, non l’ho fatto perché avessi paura. Non ero terrorizzato. Non mi stava venendo la pelle d’oca e la gelatina nello stomaco. No. I miei nervi erano perfettamente sotto controllo. Immobili. Cavi d’acciaio, praticamente, quelli dei ponti, o degli ascensori. Ho gridato “C’è nessuno?”. Ho accelerato il passo. Il mio cuore non stava battendo più forte. No, si era rallentato in una calma gelida e impassibile. Le stanze buie della biblioteca, i tavoli vuoti, i libri sugli scaffali, tutto questo non mi ricordava una tomba, se qualcuno se lo stesse chiedendo. Girare da solo per i corridoi, col computer a tracolla e un quaderno in mano, gridando “C’è nessuno?”, pensando “Non c’è più nessuno.”, non mi ricordava Shining. No. No no. No no no. No no no no no. E neppure accorgersi che la porta a vetri era chiusa a chiave, e che davanti mi passavano gli ultimi studenti, senza vedermi. Mi dicevo anzi: ma che bello restare qua, nel fine settimana, tra i libri; ma che bello, c’è anche int
Tu non ci crederai, ma a tratti, di solito per strada - mentre pedalo o cammino - in quella zona della testa giusto a metà tra i cervello e il naso, nel retro degli occhi per intenderci, quel posto piatto dove si stampano le immagini, mi compare quella foto di te dove sei appoggiata a una balaustra di legno e hai i jeans stretti alle caviglie, i capelli raccolti a treccia e una felpa che, se anche mi sforzo, non posso fare a meno di ricordare come una felpa della best company. Continuo a rischiare incidenti.
L’orecchio sinistro ha deciso di sua spontanea volontà di non funzionare più. Parlate più forte per favore. 8.00 a.m. Sabato mattina. Rumori di pentole. Un frullatore. Lavapiatti che si svuota. Fornelli accesi. Mi alzo. Mi gira la testa. Chiedo a mia madre cosa sta facendo. Cucino, dice. A quest’ora? Be’? Sono le dieci, dice. I miei occhi si muovono prima sulla sveglia bianca – lancette fosforescenti – poi su mia madre – capelli rossi. Orologio. Madre. Lancette, capelli rossi. Capelli rossi, lancette. Lancette, capelli rossi. Capelli rossi, lancette. Oh, ma guarda, dicono i capelli rossi. Sono le otto! Il sonno mi inibisce le sinapsi omicide, purtroppo. 6.00 a.m. Sabato mattina. Canto per tentare di mantenere sveglio Ale che guida. Dovrei parlare, dire qualcosa di interessante, ma tutto ciò che faccio è cantare i Tribalistas. Ale è quasi appoggiato al volante, con gli occhi mezzi chiusi. Dice di vedere la strada doppia. 5.30 a.m. Sabato mattina. Nel parcheggio di una banca
Mi sveglio. Mi trascino in cucina. Mi accorgo di lasciare una traccia grigia sul pavimento. Arriva mia madre. Ha in mano la scopa e la paletta. Mi colpisce con la scopa per farmi salire sulla paletta. Colpisce velocemente. Ehi! dico Lei si china, mi guarda: Ale? Sì, dico. Sei tu? chiede. Sì. Sei proprio tu? Sìiii. E allontana quella scopa, per favore, che mi fa paura. Ma sei un mucchietto di cenere, dice. Non le rispondo. Cerco di arrampicarmi sulla sedia. Ma ogni volta che ci provo perdo troppa consistenza. Aspetta, mi fa. Mi colpisce piano con la scopa, mi mette sulla paletta. Mi solleva e mi fa ricadere sul tavolo. Poi con le mani spinge i mucchietti di cenere dispersi verso di me. Grazie, le dico. Ma cosa è successo? Un fulmine. Un fulmine? Ieri sera. All’improvviso. Zap. Un fulmine. Mi ha centrato in pieno. Ma come è successo? Eravamo al Santo, io e Ale. Stavamo chiacchierando. A un certo punto gli ho raccontato una delle mie paranoie. Gli ho detto - come sche
Chiudo il garage. Il mio vicino sta entrando in casa. Mi vede, mi saluta. E' un uomo basso, magro. Avrà settant'anni. - Torni o vai? - mi fa - Torno, torno - dico - Eh, ma sei proprio un girellone - dice Non ho saputo rispondere. (e ieri nel vicolo un topo m'ha attraversato la strada)
Quando alla radio passano Paradise City dei Guns’n’Roses non posso fare a meno di pensare a che musica di merda ascoltavo dieci anni fa. Take me down to the Paradise City where the grass is green and the girls are pretty. Mi rimane la soddisfazione di non aver mai comprato originale Use your illusion, con quelle canzoni ruffianissime, con quei video pacchiani pieni di modelle strafighe attorno a quel simobolo della pura mostruosità che è, che era, Axl Roses – a partire dalla voce. Cantavamo i Guns’n’roses come difesa, come per resistere, io e Christian. Avevo anche comprato una maglietta orribile con un teschio enorme sul davanti. Ce l’ho ancora. Christian era tedesco, di Brema, ma non lo diceva mai, perché tanto gli americani se gli dici Brema ti chiedono: and where the fuck is? E se anche gli dici che è vicino ad Amburgo, loro annuiscono, perché il nome magari l’hanno sentito nominare, ma sulla carta gli è oscuro come prima. Una ragazza davanti a me, nell’aula di chimica, mi chies
Cretino, ti dici. Cretino, demente, coglione. Cretino, demente, coglione, mona. Deficiente, ti dici. Imbecille, cretino, demente, minorato mentale. Cretino, demente, imbecille, demente, cretino, errore genetico. Ti dici. Cretino, mona, cretino, imbecille, cretino, minorato genetico, cretino, errore mentale, ti dici. E mentre ti dici tutto ciò – cretino, mona, imbecille, coglione - cammini con l’ombrello in mano, l’altra mano alla cintola dei pantaloni troppo larghi, che ti ostini a portare senza cintura. Ti cadono continuamente, sono di duecento taglie troppo grandi e ti ostini, cretino, deficiente, mongoloide, ti ostini a portarli senza cintura. E piove e sono le undici di notte e attorno non c’è nessuno: ci sei solo tu, da solo, che guardi per terra, cammini e ti insulti, non solo per i pantaloni cadenti, ma anche perché da due giorni, dopo mesi, sei tornato a sentirti a disagio con te stesso. (Cretino) Per di più, da un momento all’altro, ti invade lo spirito santo della paranoia
Tenore della conversazione di ieri sera. - Io a Cristina Aguileira ci piscerei addosso. Davvero. - Ogni volta che vedo gli Mtv Music Awards vorrei essere un terrorista. - Ma è possibile che il papa abbia sempre qualcosa da dire su tutto e non dica niente di Michael Jackson? - Ma se uno dorme in una camera iperbarica, come fa quando deve andare a cagare?
PAROLE CROCIATE SENZA SCHEMA Orizzontali 1. Media di ore dormite negli ultimi quattro giorni. (Tre lettere. La prima è T. L’ultima è E.) 2. Profondità delle occhiaie. Sedici lettere. (Inizia per DIEC. Finisce per TIMETRI.) 3. Grado di allucinazione raggiunto. (INSONDABILE.) Se ci penso - se penso al dolore, se penso a dare una forma al dolore, una oggettività, un contorno, dei confini, dei margini; se provo a concretizzare il dolore in un luogo, in una cosa , se penso a una cosa che manifesti il dolore, che lo descriva - se immagino il dolore come una forma, come un volume, un peso, come una densità; se cerco di descrivere il dolore nei termini di misura, lunghezza, larghezza, profondità... se organizzo sulla libreria o su uno scaffale uno spazio vuoto in cui inserire il dolore, l’oggetto dolore; se tento di scardinare il dolore e di trovarne il nucleo, il colore, l’odore, la consistenza; se penso al dolore: io al dolore non so dare forma. (Per anni
Questa casa è diventata il regno della dislocazione - dici a voce alta, camminando tra gli oggetti sparsi al suolo. Stai lentamente espandendo il concetto di casino, spostandone l’orizzonte sempre più lontano - tanto da far apparire il passaggio di un tornado come un semplice riorganizzazione ambientale, rispetto al caos che stai creando in casa, senza neppure troppa difficoltà. Ricapitoliamo? Ricapitoliamo. Come c’è finita una bottiglia d’acqua sull’ultimo scaffale della libreria di tuo padre, tra il secondo volume della storia del partito comunista e la Storia della Rivoluzione Russa di Trotzky? Che ci fa il pupazzo gonfiabile a figura umana dell’Uomo Ragno - quello che ti ha regalato tuo fratello per il compleanno e che tua madre ti ha espropriato per piazzarlo in salotto - disteso sul tavolo della cucina? Ma soprattutto: come ha fatto un paio di tue mutande a finire in camera di tua sorella, quando in camera di tua sorella tu non ci vai mai, e la porta è sempre chiusa? eh? co
Ch’ho la pigrizia immanente, c’ho, ciò - nel senso di ostrega. C’ho l’indolenza nelle ossa, l’accidia nel sangue. Globuli rossi - diobuono globuli rossi - vi volete muovere? Muovetevi! Ma ci siamo appena alzati. Globuli rossi non mi fate incazzare, vi siete svegliati alle nove, sono le undici e mezza. Eh, abbiamo la pressione bassa, sai, noi globuli rossi. Globuli rossi, il cervello è in deficit, non lo sentite che annaspa, sbatte i neuroni come un pesce fuor d’acqua? Si fa presto a dire il cervello, ma noi dobbiamo ancora fare colazione. Se tu ti mettessi a testa in giù, diciamo per un minuto, se ne potrebbe parlare, sai. Pronto, sei Valeria? Sì. (Silenzio) Ma non hai la voce di Valeria. Ho il raffreddore. (Silenzio) (Silenzio) Ma tu sei un uomo. No no, io sono Valeria, dimmi. (Silenzio) (Comunicazione interrotta) Da quando ho il cellulare di mia madre ricevo un sacco di telefonate di gente che sbaglia numero. Non pensavo. La mia tariffa prevede che più sto al t
. .. volevo, ad ogni modo, aggiungere una cosa: che anche a me piaceva la ragazza che si innamora di Matteo che si innamora di Nicola - ma a lei piace Nicola sin dall'inizio, se ci fai caso - e che il mio, di lungo termine, è tra un'ora, al massimo domani...
Riesci a resistere al feticismo delle merci giusto perché non devi fare la spesa tutti i giorni. Lasciato a te stesso ti fai catturare da ogni riflesso di novità, ti lasci abbindolare dai luccichii dei supermercati. La scusa ufficiale è che pensi di fare una colazione abbondante, risparmiando sulla spesa del pranzo. Ma se hai comprato un prodotto stronzo come gli Special K ai frutti gialli è solo perché ti ha conquistato con le sue promesse, ti ha fregato con la confezione bianca, graficamente inappuntabile: ai frutti gialli, poi. Può esistere qualcosa di più stronzo? (e non importa che mi rispondi di sì, lo so benissimo che esiste, ma insomma: cereali ai frutti gialli! ti rendi conto? Sono quei prodotti che vengono pubblicizzati alle due del pomeriggio da donne quarantenni che sembrano che ne abbiano ventidue e che ti spiegano che sono così perché mangiano cereali sani tutti i giorni - sottointendendo che per questo riescono ad andare al cesso regolarmente. Ti rendi conto?) Vince i
“Adesso si gira e mi saluta.” “Vai tu a salutarla.” “Ma no, non ho niente da dirle.” “E allora? Vai lì, la saluti. Fine.” “No, no. Adesso si gira lei e mi saluta lei.” La prima sera è pieno di ombrelli. Piove e non piove, tanto che eravamo indecisi se venire al cinema. Davanti a noi c’è una signora con un ombrello bianco e nero. Inizia il film, la pioggia non smette, gli ombrelli rimangono aperti. Da dietro si sentono le urla di chi non riesce a vedere lo schermo: “Chiudete gli ombrelli!”“Non si vede!”; ma la signora, per dirne una, rimane impassibile, non si volta neppure. Sta ferma. Guarda dritta davanti a sé, come se non sentisse. Ci sono ombrelli dappertutto, comunque. E un signore di fianco a noi si è tolto la maglietta e se l’è messa in testa. Rimane in canottiera. Da quattro giorni mangio solo piadine, stracchino e pomodori. Non so se sono io che ho preso il colore dello stracchino o il contrario. Veramente trovo delle somiglianze, tra me e lo stracchino, a tratti pr
1 Stamattina sono partiti i miei genitori. 2 (Era ora) 3 Mia madre mi ha lasciato il suo cellulare 4 Si è premurata di dirmi (5 volte) che quando torna non vuole che i miei amici la chiamino 5 Giuro 6 Chiunque voglia il numero è pregato di mandare la debita domanda via e.mail 7 Le domande verranno vagliate e selezionate. 8 La mia prima giornata con cellulare è stata inquietante 9 A parte il fatto, non del tutto spiacevole, di avere qualcosa che vibra nelle tasche. 10 Ho ricevuto i miei primi messaggi. 11 I primi messaggi sono questi: 12 “Ale? Che cazzo è questa vampata di borghesia capitalistica?” 13 “Fregare il cellulare a Lapaola è il primo passo nel tunnel della teledipendenza! Ti stai corrompendo! Buricci sta benone e ti saluta." 14 (Buricci è il gatto di Marcaspio. Ieri Buricci è stato seviziato da Simone.) 15 “CretinoCretinoCretinoCretinoCretinoCretinoCretinoCretino” 16 Tornando a casa, ho trovato sul cellulare una chiamata non risposta. 18 Non conoscevo il
La capsula è di metallo - credo una lega di carbonio e titanio. Le parti in ceramica non ho mai capito bene a cosa servano, ma servono da quello che mi dicono. La capsula ha forma cilindrica ed è alta quattro metri. Il diametro della base è di tre metri. Praticamente, un’enorme lattina. Il mio spazio vitale è ridotto al minimo: una poltrona reclinabile, uno schermo, un finestrino rettangolare, una tastiera. Se mi alzo, devo piegare un poco le spalle per non sbattere la testa. Dietro di me c’è la porta del bagno. Ecco tutto. Non si sta male, qui in orbita. Ci sono tutte le comodità. Il cibo mi viene consegnato a orari precisissimi. Alle volte posso pure sgarrare, se mi va. Di solito non mi va. Il computer apre lo sportello alla mia destra (quello a sinistra è per il telecomando) e mi passa il vassoio a scompartimenti. Uno scompartimento con la pasta. Uno con il pollo. Poi il dolce. Gli scompartimenti permettono al cibo di non mischiarsi. Potrei farlo io, potrei mischiarli. Di solito
Ho in mano una scatola bianca di cartone; la rigiro tra le dita e la guardo tenendola a una certa distanza, perplesso, più che altro, perché non ricordo di averla presa. U, intanto, smanetta con l’accensione della vespa. Il fanale dà un barlume, il motore accenna una partenza, niente più. “Avevo il casco, prima?”, chiede. “No” dico, “mi sa di no.” “Allora è nel bauletto.” mi guarda. Mi guarda la mano per qualche secondo. Poi: “Cosa ci fai con la mia scatola dei filtri in mano?” “Ah, ecco cos’era. Vuoi che ci provi io?” “Sì”, dice. E io, che non ho neppure la patente, mi atteggio a meccanico provetto, esperto in moto motorini vespe, cinquantini centoventicinque cinquecento, macchine di varie cilindrate, trattori, gommoni, motoscafi, elicotteri, shuttle e falciatrici. “E’ ingolfata”, dico professionale. In strada, nessuno. Ai piedi del cavalcavia mi chiedo come ha fatto la vespa ad abbandonarci, non ricordo come si è spenta. Ricordo che U mi stava tirando, tentando di tenere