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Le patate al forno che ti sei preparato in un momento di disperazione - il tuo frigo conteneva, a parte le patate, tre spicchi d’aglio, una confezione di ketchup, un vasetto di pesto scaduto dal 1862, una maschera di bellezza congelata - ti hanno ustionato il palato. Non potevi aspettare che si raffreddassero, no. Dovevi per forza mangiarle quando ancora la loro temperatura rasentava i 451 gradi. Adesso, nel chiudere la bocca, gli incisivi inferiori sfiorano la gengiva superiore provocandoti scosse e punture. Per riuscire a dormire devi studiare complesse posture della lingua in modo da creare un cuscinetto che attutisca il dolore. Poi ti svegli e parli tutto fuffoso. “Come stai stamattina Ale?” “Fefe”

(Domani hai un incontro col guru. Voglio vederti a difendere un capitolo indifendibile, scritto in velocità e consegnato non finito perché ti stava prendendo l’ansia – ansia che non solo ti sorprende quando meno te l’aspetti, ma ti sorprende anche quando te l’aspetti: sai che l’ansia arriverà nel giro qualche secondo; lei, matematica e calcolatrice, in effetti arriva, e quando arriva, e tu ti aspettavi che arrivasse, comunque ti sorprende – voglio vederti domani a parlare al guru del tuo capitolo, a difenderti dalle sue correzioni quando tutte le tue consonanti sono tutte sostituite dalla F, tranne la F che è diventata V. Voglio proprio vederti.)

Nonostante le tue proteste, G ti racconta l’ultimo sogno che ha fatto.
Esordisce così: “Mi stavo masturbando furiosamente…”
Dice furiosamente scandendo le sillabe una a una: fu ri o sa men te. “Ero in camera mia, ma non c’era la solita porta. La porta di camera mia, nel sogno, era come la porta di un saloon, hai presente?” “Fì” “Quando finivo di masturbarmi, tre, sette, cinquanta volte, alzavo la testa e vedevo che la porta oscillava sui cardini, si apriva e si chiudeva. Oltre la porta c’era un salotto enorme. Nel salotto: un tavolo, e dietro il tavolo mia nonna che preparava per la cena. Mi guardava.” “FiFFFia!” “Già, e poi guardavo in giro e c'erano altre porte così, nella stanza, e attraverso di loro vedevo che la casa era piena di gente. E tutti a guardare me. Ma come si chiama quel tipo di porta?” “Foh; foffa a faffeffe?” “Sì, probabilmente si chiama proprio così.”

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale