Come quando, al primo morso, la risposta a una domanda che da poco ti rimbalzava in testa parte dalla forchetta che trattiene mezzo raviolo al vapore, comperato in un take away cinese solitario e isolato, polveroso, nel quale una commessa col piumino blu guarda, in piedi e con le braccia incrociate, rossa in viso, un quiz in cinese coi sottotitoli in cinese a una televisione appesa in alto a destra accanto al murale del dragone, impolverato anch’esso, e, una volta preso l’ordine dei ravioli al vapore – verdure e gamberetti – si dirige in cucina e ci passa dei minuti sternutendo, presumibilmente sui ravioli stessi, poi te li consegna in una vaschetta di alluminio piena di bacilli che richiude con il domopak e tu, non contento, ti fai dare anche una confezione minuscola di salsa di soia in evidente stato solido, per dirigerti finalmente a casa dove, da solo, coi vestiti che puzzano di fritto, prepari un piatto su cui disponi i ravioli, rigidi, in pieno rigor mortis, poi ti siedi e ne addenti uno osservando come sembri estratto direttamente da un film di Cronemberg e in questo modo, cioè addentando, la risposta alla domanda di cui sopra ti oltrepassa i denti e attraversa le papille gustative per esploderti tra i neuroni, consumandone almeno mezzo milione, facendoti ricordare, quindi, perché da così tanto tempo non mangiavi cinese--- allo stesso modo, sabato, a lucca, ripensando a giovedì e venerdì, quando, con la pioggia, siamo andati in giro, in cerca del regalo di laurea di L. e siamo rimasti da me a mangiare, decidendo cosa fosse meglio prendere e dove, mi sono ricordato del perché, negli ultimi tempi, non ti frequentavo così tanto come una volta.
Prima che equivochi, te lo dico io: perché poi ci prendo gusto.
Prima che equivochi, te lo dico io: perché poi ci prendo gusto.