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Visualizzazione dei post da marzo, 2005
[17.15] «ma se tanto non senti i sapori» dico a me stesso a voce alta, in bicicletta, senza freni, senza mani perchè le mani tengono i sacchetti del panificio «se il raffreddore ti ha completamente ottenebrato il gusto e l'olfatto, che cazzo ti compri le pizze di pastasfoglia?» In effetti parrebbe una mossa dettata più che altro dall'ingordigia - la golosità di chi è stato rinchiuso cinque giorni a letto, con trentotto e mezzo di febbre, immobile e boccheggiante sotto un piumone. Cinque giorni di febbre, e una strana vertigine che ancora mi sorprende talvolta di nascosto, senza motivazione: che io stia seduto o in piedi, che stia dormendo o leggendo o mangiando, una vertigine che rotea il mondo come il palmo di una mano che faccia girare una foto appoggiata a un tavolo. Fosse solo questo. Le gambe si ribellano alla prolungata stasi, si agitano e mi svegliano di notte. Ieri, alle tre, le gambe si sono ribellate al sonno, mi hanno svegliato a forza di calci e giravolte e si son
[14.36] Facciamo il punto della situazione. Dopo quasi tre mesi di dottorato ho cambiato progetto di ricerca tre volte. Praticamente una volta al mese. Ho già una bibliografia sterminata, pur non sapendo ancora esattamente su cosa. Sono indietro di tre articoli: uno - che è da un anno che devo concludere - tratto dalla tesi; uno di cui ho solo il titolo; il terzo di cui non ho neanche l'argomento. Vista questa impasse , ieri ho comprato un libro che pensavo non avrei mai comprato e che forse, invece, avrei dovuto comprare prima, cioè: come si fa una tesi di laurea , di Umberto Eco. Insomma: secondo Eco ho sbagliato tutto. La parte più bella è, comunque, questa: «Uno si porta a casa centinaia di pagine di fotocopie e l'azione manuale che ha esercitato sul libro fotocopiato gli dà l'impressione di possederlo. Il possesso della fotocopia esime dalla lettura. Succede a molti. Una sorta di vertigine dell'accumulo, un neocapitalismo dell'informazione. Difendetevi dalla fo
[14.11] Fai conto di salire in treno. Entri nello scompartimento, dove c'è un uomo che legge. E' seduto nel verso contrario all'andamento del treno. Lo saluti. Non appena ti siedi, lui ti mostra il suo libro. Ti dice "Leggi qui". E' un brano di Nietzsche. Aurora . Lo leggi. "Non ti sembra", dice, "che sia un invito alla menzogna?". E ti coinvolge in una discussione sull'uso più o meno legittimo, in politica, dell'ipocrisia. Tu lo incalzi, poi ti stufi. Fai finta di addormentarti. Lui ti scuote una spalla: "Ehi", dice, "Leggi qua!" Ti passa di nuovo il libro, un brano diverso; quando hai finito riprende la discussione. Arrivi. Poco prima che il treno si fermi, ti dice: "Sei un ragazzo intelligente, hai argomentato bene". Ti stringe la mano: "Mi è piaciuto parlare con te. Per caso ti interessi di astronomia?". Dici di no. "Non ti interessi di stelle, movimenti astrali, pianeti?" Rispon
[16.40] Ho male ai talloni, non riesco a stare seduto: sono le sedie della biblioteca - lisce, scomode, create per culi non umani: squadrati, tentacolari e un poco a conca - o il raffreddore, che ha nicchiato tutto l'inverno per esplodere oggi, in sternuti ogni mezz'ora e fuochi d'artificio di muco. Gli sguardi degli altri attorno. Invasati, sicuri di sè, del loro apprendere, mentre io sento le conoscenze rapprese, i frammenti di nozioni che non coincidono tra loro: un mosaico appena scosso dal terremoto - tessere microscopiche mischiate su un pavimento pieno di crepe. A casa, intanto, mia madre tenta di convincere la donna delle pulizie a non tornare in Romania, dall'ex marito. Dice che è cambiato - insiste lei. Non ci credo - risponde mia madre. Le rumene, racconta di sera a cena - con il suo talento per generalizzare l'ingeneralizzabile - hanno il cuore straziato, sono piene di un dolore che non si rimargina, vivono in una dimensione di perenne tragedia. [17.05]
[17.37] Sulle panchine del dipartimento si parla già di scogli e di maree. Cammino con la testa rivolta prevalentemente verso terra, occhieggiando furtivo i dintorni. L'agilità linguistica, gli affondi intellettuali, l'utile, il dilettevole, il dulce, lo psichico, l'ultrapsichico, l'emozione, la memoria, la tecnica, la gravitas, la leggerezza, l'ironia, il dolore, l'altro, il qui, l'ora, il realismo viscerale, il verosimile, il verso, la prosa, il virtuosismo, l'erudizione, il pieno, il vuoto, la visionarietà, la proprietà aggettivale, i colori, la densità, gli oggetti, i personaggi, l'intreccio, la fabula, lo psicologismo, il ritrono del rimosso, il racconto, la narrazione, l'affabulazione, la capacità ipnotica, la verità, la trasposizione, l'aderenza della parola alla cosa, la sintassi, la semantica, la morfologia, la punteggiatura, le virgole, i due punti, la formazione delle parole, la metafisica, l'oltre, la società, la chiaroveggenz
[14.08] - Senti. - Eh. - Ma ti ho sbavato? - ... no - Ti ho sbavato. - No no. - Dai, puoi dirmelo: ti ho sbavato. - Ma no, non mi hai sbavato. - Be' allora ti ho sputato, sputazzato, slavazzato, sgrondato... - No, no, non hai fatto niente! - Allora perché prima hai riso? - Ma niente. - Ti ho sbavato. - ... un po'. - Visto? - Ma solo poco! - Dio che vergogna. - Ma valà... - Che vergogna. E dimmi: quanto ti ho sbavato? - Poco. - Dai, quanto? - Ma niente! Un poco. - Mio dio. E com'era? - Cosa? - Com'era? La bava. Era filamentosa, una goccia, un grumo? Era schiumosa, limpida... - Ma che dici? - Quanto ti ho sbavato? Era tanto? Era un filo che è caduto dall'angolo della bocca? Oppure una di quelle gocce dense che innaffiano tutto. Dai, descrivi! - Ma niente! Era una goccia. - Che vergogna. - Macchè. Era una goccia minuscola. - Ti ho sbavato. - Non mi hai sbavato. - Ti ho sbavato, sarà stato almeno mezzo litro di bava. - Ma smettila. - Che vergogna. - Ma dài! - ... - ...
[9.23] Il giostraro dalle fattezze di uno scrittore di culto mi dice che sono pronto. Mi sporgo verso di lui, dal secondo piano della giostra: pronto per cosa? Sei pronto! mi dice lo scrittore, facendo partire il meccanismo a ruote dentate, sei pronto! Sì, ma pronto per cosa? Sei pronto... dice allontanandosi nel buio, sei pronto per l'operazione! Mentre il cavalluccio rosso non regge più il mio peso, chiedo: L'operazione? Sì, risponde lui, l'operazione alle adenoidi! Quando ero alle medie, R*, per convincermi a leggere It, mi disse - tra le altre cose - che Stephen King ti prende per mano e ti porta gentilmente dentro la storia, senza mollarti. Takeshi Kitano, in un'intervista, racconta che vorrebbe fare un film così: girarlo tutto, tagliare a pezzi le scene, rimontarle in ordine casuale, lasciare allo spettatore la visione d'insieme. [9.38]
[15.23] Il sosia di Noel Gallager ha un loden blu, indica qualcosa verso il Pedrocchi. Tra la folla - i laureati e i loro amici - altri loden, altri sosia - grigi in viso, spiccano per il perfetto blu dei loro cappotti, e occhiali da sole a lenti quadrate. Un sole primaverile illumina un azzurro che ricordo di aver visto l'altra settimana in un quadro del Beato Angelico - era il vestito di un santo con la testa tagliata. Abbandono accanto a un cestino il tetrapack di tavernello mezzo pieno. Guardo gli uomini in blu circondare un carro funebre nella zona pedonale. Un laureato sta rileggendo, in rima, non lontano da me, la sua vita sessuale; ha i capelli infarinati, e, sulla farina, chiazze gialle di uovo. Uova anche per terra: ma senza gusci, solo tuorlo che scivola gli spazi tra i sampietrini. AleP, direttamente da Barcellona, racconta che a Milano l'hanno perquisito. Dice: «Ci hanno riuniti in una stanza, hanno aperto le nostre valige. "Cosa abbiamo qui?" ha detto un
[16.45] meglio di un fiume carsico, così riemerge la stronzaggine, senza motivo, se non forse il trauma del rientro o, piuttosto, la frustrazione di non sapere chi o cosa ha vinto sanremo. Il mio vicino - più vecchio di me di qualche anno - si è laureato martedì, mentre io, invece, ambivo a un piatto di moules et frites - «allora? come è andata?» gli chiedo adesso, fuori dal garage; «bene bene, non vedi? non mi vedi più leggero? tolto un peso, adesso posso cazzeggiare» risponde, con un riso che gli invade metà faccia, una vena in mezzo alla fronte sul punto di annodarsi dalla felicità. «Perchè», dico senza accorgermi, «prima che facevi?». (Dal treno, stamattina, in ritardo di tre ore, scendo praticamente al volo, consegno il bagaglio al deposito, corro in università per non perdere un appuntamento fondamentale, penso: prendo un autobus - mai preso un autobus in vita mia - aspetta sì, in prima superiore - salgo, chiedo all'autista: ma questo - intendo l'autobus - ferma a piazz