Passa ai contenuti principali
[16.45]
meglio di un fiume carsico, così riemerge la stronzaggine, senza motivo, se non forse il trauma del rientro o, piuttosto, la frustrazione di non sapere chi o cosa ha vinto sanremo. Il mio vicino - più vecchio di me di qualche anno - si è laureato martedì, mentre io, invece, ambivo a un piatto di moules et frites - «allora? come è andata?» gli chiedo adesso, fuori dal garage; «bene bene, non vedi? non mi vedi più leggero? tolto un peso, adesso posso cazzeggiare» risponde, con un riso che gli invade metà faccia, una vena in mezzo alla fronte sul punto di annodarsi dalla felicità. «Perchè», dico senza accorgermi, «prima che facevi?». (Dal treno, stamattina, in ritardo di tre ore, scendo praticamente al volo, consegno il bagaglio al deposito, corro in università per non perdere un appuntamento fondamentale, penso: prendo un autobus - mai preso un autobus in vita mia - aspetta sì, in prima superiore - salgo, chiedo all'autista: ma questo - intendo l'autobus - ferma a piazza mazzini; certo, risponde l'autisa, e parte mentre mi sciolgo addosso a un palo di supporto; l'autobus procede verso la piazza, si avvicina, a ogni fermata mi dico: potrei scendere qui, no aspetta, aspetta ancora un po', che ho comprato il biglietto; al semaforo, sono sicuro che l'autobus girerà a sinistra, sono tutto contento, invece, gongolando come lui solo sa fare, gongola, rigongola e gira a destra riportandomi come per incantamento al punto di partenza, ai piedi del cavalcavia dell'arcella, sopo un quarto d'ora di viaggio, mentre nel mondo risuona un urlo tonitruante che spezza il ghiaccio per le strade, fino a i poli (aspettatevi inondazioni)) Lui mi guarda interdetto, mi chiedo se ha un tic alla guancia sinistra, vorrei avvicinarmi per studiare meglio la vibrazione dello zigomo; mette i palmi delle mani paralleli, li muove a mimare una S, insieme dondola le spalle e le ginocchia, piega le gambe, sembra un serpente - o celentano quando celentaneggia - risponde - ma vorrebbe picchiarmi, si vede - «anche prima cazzeggiavo, ma di nascosto; adesso sono autorizzato ufficialmente» e striscia via, così.
[17.11]

Post popolari in questo blog

UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale