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[17.37]
Sulle panchine del dipartimento si parla già di scogli e di maree. Cammino con la testa rivolta prevalentemente verso terra, occhieggiando furtivo i dintorni. L'agilità linguistica, gli affondi intellettuali, l'utile, il dilettevole, il dulce, lo psichico, l'ultrapsichico, l'emozione, la memoria, la tecnica, la gravitas, la leggerezza, l'ironia, il dolore, l'altro, il qui, l'ora, il realismo viscerale, il verosimile, il verso, la prosa, il virtuosismo, l'erudizione, il pieno, il vuoto, la visionarietà, la proprietà aggettivale, i colori, la densità, gli oggetti, i personaggi, l'intreccio, la fabula, lo psicologismo, il ritrono del rimosso, il racconto, la narrazione, l'affabulazione, la capacità ipnotica, la verità, la trasposizione, l'aderenza della parola alla cosa, la sintassi, la semantica, la morfologia, la punteggiatura, le virgole, i due punti, la formazione delle parole, la metafisica, l'oltre, la società, la chiaroveggenza, il delirio, la verticalità, la forma, la struttura, il ritmo, la vivacità, l'impressionismo, l'astuzia, la descrizione, i dialoghi, la morte, il culto dei morti, l'elencazione ellittica, la mimesi, la diegesi, e via e via e via e via e via e via e via: cosa, cosa differenzia uno scrittore da un grande scrittore?

Entro dal panettiere - si avvicina la primavera e sento, sotto i vestiti, il solito pizzicore che preannuncia il caldo - davanti a me c'è un uomo, pallido, pochi capelli, la barba bianca e uno sguardo che non so dire - indossa uno zaino azzurro, si sostiene con le stampelle. Allora lo osservo meglio, di nascosto: gli manca il polpaccio sinistro, completamente. Mi chiedo cosa significa andare a comprare una sola scarpa, se si può, o se piuttosto quest'uomo conserva tutte le scarpe sinistre in un museo dedicato al suo piede, una libreria di scarpe sinistre, impolverate ma nuove - forse sono indelicato, mi sento indelicato: quando la mole di scarpe, per accumulo, raggiunge la dimensione di una piramide smetto di pensarci.
«Due schiacciate, Loredana» dice alla panettiera. Lei prende un sacchetto: «Come stai?»
«Non me lo chiedere» dice lui «Non me lo chiedere. Non me lo chiedere. Non me lo chiedere non me lo chiedere non me lo chiedere non me lo chiedere. Non me lo chiedere, non me lo chiedere; non me lo chiedere non me lo chiedere non me lo chiedere» la sua voce diventa più flebile, quasi solo fiato «non me lo chiedere! non me lo chiedere non me lo chiedere. non me lo chiedere, non me lo chiedere» «Due zoccoletti» chiedo io, intanto, sottovoce, all'altra panettiera. «non me lo chiedere, non me lo chiedere, non me lo chiedere, non me lo chiedere»
«No no, va bene, non te lo chiedo»
«Ecco i due zoccoletti»
«Grazie, arrivederci»
«Se solo avessi una rivoltella... me daria un colpo e la finiressimo»
[17.59]

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale