[17.15]
«ma se tanto non senti i sapori» dico a me stesso a voce alta, in bicicletta, senza freni, senza mani perchè le mani tengono i sacchetti del panificio «se il raffreddore ti ha completamente ottenebrato il gusto e l'olfatto, che cazzo ti compri le pizze di pastasfoglia?» In effetti parrebbe una mossa dettata più che altro dall'ingordigia - la golosità di chi è stato rinchiuso cinque giorni a letto, con trentotto e mezzo di febbre, immobile e boccheggiante sotto un piumone. Cinque giorni di febbre, e una strana vertigine che ancora mi sorprende talvolta di nascosto, senza motivazione: che io stia seduto o in piedi, che stia dormendo o leggendo o mangiando, una vertigine che rotea il mondo come il palmo di una mano che faccia girare una foto appoggiata a un tavolo. Fosse solo questo. Le gambe si ribellano alla prolungata stasi, si agitano e mi svegliano di notte. Ieri, alle tre, le gambe si sono ribellate al sonno, mi hanno svegliato a forza di calci e giravolte e si sono fatte portare a spasso. Ci mancava solo il guinzaglio. Camminavo su e giù per il corridoio da circa mezz'ora, quando si è svegliata anche mia madre: «Che fai?» ha chiesto. «Cammino.» Mi ha guardato, sulla porta di camera sua, mentre mi allontanavo verso la cucina per poi tornare verso di lei. Tenevo sempre lo sguardo sulle gambe, pensavo che a un certo punto si sarebbero stancate. «Ma che fai?» ha ripetuto. «Cammino» ho risposto, senza fermarmi. Mi sono allontanato, sono tornato. «Che fai?» ha detto. Stavo per urlarle che camminavo quando lei ha detto: «Aspetta» e si è tolta i tappi per le orecchie. «Allora?» «Cammino.» ho detto. «A quest'ora?» «Porto a spasso le gambe» ho detto dal fondo del corridoio. Lei si è rimessa i tappi. Ha detto:«
[17.45]
«ma se tanto non senti i sapori» dico a me stesso a voce alta, in bicicletta, senza freni, senza mani perchè le mani tengono i sacchetti del panificio «se il raffreddore ti ha completamente ottenebrato il gusto e l'olfatto, che cazzo ti compri le pizze di pastasfoglia?» In effetti parrebbe una mossa dettata più che altro dall'ingordigia - la golosità di chi è stato rinchiuso cinque giorni a letto, con trentotto e mezzo di febbre, immobile e boccheggiante sotto un piumone. Cinque giorni di febbre, e una strana vertigine che ancora mi sorprende talvolta di nascosto, senza motivazione: che io stia seduto o in piedi, che stia dormendo o leggendo o mangiando, una vertigine che rotea il mondo come il palmo di una mano che faccia girare una foto appoggiata a un tavolo. Fosse solo questo. Le gambe si ribellano alla prolungata stasi, si agitano e mi svegliano di notte. Ieri, alle tre, le gambe si sono ribellate al sonno, mi hanno svegliato a forza di calci e giravolte e si sono fatte portare a spasso. Ci mancava solo il guinzaglio. Camminavo su e giù per il corridoio da circa mezz'ora, quando si è svegliata anche mia madre: «Che fai?» ha chiesto. «Cammino.» Mi ha guardato, sulla porta di camera sua, mentre mi allontanavo verso la cucina per poi tornare verso di lei. Tenevo sempre lo sguardo sulle gambe, pensavo che a un certo punto si sarebbero stancate. «Ma che fai?» ha ripetuto. «Cammino» ho risposto, senza fermarmi. Mi sono allontanato, sono tornato. «Che fai?» ha detto. Stavo per urlarle che camminavo quando lei ha detto: «Aspetta» e si è tolta i tappi per le orecchie. «Allora?» «Cammino.» ho detto. «A quest'ora?» «Porto a spasso le gambe» ho detto dal fondo del corridoio. Lei si è rimessa i tappi. Ha detto:«
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