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Visualizzazione dei post da settembre, 2005
Wladimir Koppen infilò l'orologio nella tasca della marsina. Era quasi l'ora di far ascendere il pallone aereostatico. Il temporale avrebbe fornito dati interessanti. Ritornò al lavoro di classificazione dei climi, ma con poca concentrazione. Da qualche giorno sentiva come una strana febbricciola, una svagatezza mentale che non gli apparteneva. Fraulein Ilda, in giardino - le mani sui fianchi in quella posizione che le era così tipica - controllava il cielo, grigio, carico: le sembrava il coperchio di una pentola sceso apposta per rinchiudere ermeticamente il mondo. Sperava che almeno non grandinasse, perché non voleva salire di nuovo in città, dal vetraio. Non per altro: quell'uomo così allampanato e pulito, di origine italiana, aveva la tendenza a parlare per ore e ore solo di cibo. Fraulein Ilda non aveva tempo da perdere, aveva ancora tutti i lavori di cucito e pulizia da finire prima dell'inverno - e quella mania di Herr Koppen di stipare la casa di piante non aiut
Alle sette del mattino suona il telefono - Pronto? - Ciao Schifo, sono il tuo Disordine. - Scusi? - Sono il tuo Disordine, Schifo. Ti tengo sotto controllo. - Mi scusi ma forse lei ha... - Senti Schifo, non ho tempo per le tue cazzate. Ti dico solo una cosa: lascia perdere. - Non so di che... - Lascia perdere, hai capito Schifo? Lascia perdere o... - O? - Tu sai cosa. >click< Da due settimane sono sotto l'ultimatum del guru. «Professore! Sono solo passato a salutar...». La porta dello studio sbatte dietro di me. Dagli occhi del guru saettano lingue di fuoco. «A fine settembre», dice. «Cosa?» chiedo, cercando un modo non appariscente di tapparmi le orecchie. «Voglio l'articolo», le fiamme avvampano come se qualcuno, da dentro, avesse aperto al massimo la valvola del gas. Il cliché cinematografico qui richiederebbe una ripresa dall'alto, il protagonista che guarda verso la telecamera, pallido, si inginocchia per urlare l'urlo di Munch: un No protratto e modulato ch
Mia madre, mio padre. - Senti: a pranzo hai mangiato qualcosa? - Una pastasciutta col tonno, in bar. - Una pasta al tonno? - Non proprio. Ho ordinato una matriciana. Poi mi sono fatto mettere sopra del tonno.
sono arrivati con le scale e le lenzuola multicolore chiazzate. scale a palchetto, a arganello, a libretto, scale a chiocciola, scalette, sgabelli, trabattelli, alla marinara, scale di corda... le hanno estratte dal furgoncino traballante, su fino in salotto. hanno ammucchiato i mobili, nel centro della stanza e in due - erano in due - quello alto e quello basso, vestiti di bianco - pantaloni e canottiera e capelli - hanno spiegato i lenzuoli vecchi sul tavolo, sulla montagna degli ammennicoli accatastata, sui divano rivolti uno contro l'altro. hanno coperto le porte, a modo di tenda, e il pavimento con un gusto per il patchwork che non avrei mai detto. poi si sono guardati attorno, uno di fianco all'altro, le braccia incrociate, girando la testa sincronicamente, da sinistra a destra, da destra a sinistra, sempre verso l'alto. li ho visti prendere delle cinture piene di pennelli diversi, allacciarle in vita e cominciare il lavoro. «A modo loro sono dei genii», ha detto mia