Passa ai contenuti principali
Alle sette del mattino suona il telefono
- Pronto?
- Ciao Schifo, sono il tuo Disordine.
- Scusi?
- Sono il tuo Disordine, Schifo. Ti tengo sotto controllo.
- Mi scusi ma forse lei ha...
- Senti Schifo, non ho tempo per le tue cazzate. Ti dico solo una cosa: lascia perdere.
- Non so di che...
- Lascia perdere, hai capito Schifo? Lascia perdere o...
- O?
- Tu sai cosa.
>click<

Da due settimane sono sotto l'ultimatum del guru.
«Professore! Sono solo passato a salutar...». La porta dello studio sbatte dietro di me. Dagli occhi del guru saettano lingue di fuoco. «A fine settembre», dice. «Cosa?» chiedo, cercando un modo non appariscente di tapparmi le orecchie. «Voglio l'articolo», le fiamme avvampano come se qualcuno, da dentro, avesse aperto al massimo la valvola del gas. Il cliché cinematografico qui richiederebbe una ripresa dall'alto, il protagonista che guarda verso la telecamera, pallido, si inginocchia per urlare l'urlo di Munch: un No protratto e modulato che incrina le unghie di tutti gli alluci del globo.
«Facciamo il 15 ottobre» imploro.
«15 ottobre, va bene. Ma se ritardi...»
«Se ritardo...?»
Sento un odore di capelli bruciati. Dice: «Tu sai cosa.»

- Pronto?
- Schifo, sono ancora io.
- No, scusi credo che...
- Senti Schifo: vai in camera, prendi dei fogli e gettali in aria, ok?
- Ma forse lei...
- Schifo, stai zitto, non ho tempo da perdere. Apri tutti i giornali che trovi, anche quelli vecchi, e riempi a caso gli schemi del Sudoku, impegnandoti.
- Mi sa che...
- Ho detto zitto, Schifo. Prendi dei libri che non ti interessano, comincia a leggerli svogliatamente, mi segui?
- Non credo di...
- Leggili pensando a qualcos'altro, ok? Se trovi qualcosa di appassionante, abbandona subito. Prendi, che so, qualcosa di elementare, qualcosa che hai già letto, oppure...
- Tipo un manuale?
- Bravo, Schifo. Mi piace quando collabori. Un manuale va bene. Un manuale introduttivo, ok? Cose che magari sai già. O un libro di divulgazione scientifica, che ne dici.
- Be' sì, ne ho giusto uno su...
- Me ne frega un cazzo, Schifo, basta che fai quel che ti dico, oppure...
- Oppure?
- "Oppure?"
- Io so cosa?
- Bravo, Schifo.
>click<

Alzatevi. Andate davanti alla libreria: gli scaffali sono pieni, magari un po' imbarcati dal peso. Avete libri in doppia fila, in orizzontale, in colonna, obliqui, negli interstizi, piegati, accartocciati, a fascicoli. Attendete qualche minuto. Lo sentite quello strano risucchio? L'avvertite quell'attrazione gravitazionale? E quel rumore come di cannuccia a fine bicchiere? In fretta, svuotate uno scaffale. Se siete abbastanza veloci troverete l'incrinatura, il vuoto, il nulla: quello spazio di inesistenza che Montale cercava dietro di sè - voltandosi di scatto - voi lo troverete lì, ipnotico, minaccioso...

Post popolari in questo blog

UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale