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Visualizzazione dei post da 2005
Alla fine della cena, mio padre afferra il bicchiere di vino e se ne cammina tutto contratto nelle spalle verso la televisione, allora io chiedo a mia madre che cos'ha papà, lei mi risponde: ma niente, è solo un po' offeso. Come, offeso, le chiedo, offeso di cosa? Da una cosa che mi ha raccontato, dice lei. E cioè, chiedo. E cioè questo pomeriggio tuo padre era al computer, su internet, a cercare un volo per londra; stava navigando quando càpita sul sito di un test d'intelligenza, e allora, stuzzicato, decide di provarlo, ci perde anche del tempo, gli sembra che non debba finire mai finché non finisce; il risultato è circa 133. E cosa vuol dire? Dice tuo padre che neppure lui sapeva cosa volesse dire, ma che dopo il numero c'era un commento e il commento spiegava che 133 è un valore al di sopra della media, ed è un valore paragonabile all'intelligenza di un filosofo visionario. Allora tuo padre mi ha detto, col muso: un filosofo visionario , non sarà mica una bella
E allora scese l'Angelo della Nevrastenia in mezzo ai fulmini - in un lampo di magnesio apparì sopra il monitor - e aveva il volto che sembrava il riflesso in un vetro, e teneva la sinistra nella destra e la destra all'altezza del cuore. E aprì la bocca, e dalla bocca srotolò una voce che disse: «In v-verità in v-v-verità t-ti d-d-dico che t-t-tu s-s-scriverai con d-d-dolore, e che p-p-prima c-c-c-c-che c-c-c-canti il g-g-gallo t-t-tre volte t-t-tu m-m-mi r-r-riconoscerai n-n-nei t-tuoi gesti». Così disse l'Angelo della Nevrastenia e aprì le mani sopra di me e con le mani mi toccò la fronte e mi infuse il Tremore della Nevrastenia e lo Scatto Isterico Immotivato. E fui tutt'uno con lui e lui con me. E allora vi dico: aprite i vostri cuori alla Nevrastenia, perché vostro è il regno della Nevrosi. Decisi di cambiare vita. Iniziai a svegliarmi alle sette: per avere più tempo per essere nervoso, e per essere più nervoso ogni giorno. Mi aiutavano in questo le urla del ni
Wladimir Koppen infilò l'orologio nella tasca della marsina. Era quasi l'ora di far ascendere il pallone aereostatico. Il temporale avrebbe fornito dati interessanti. Ritornò al lavoro di classificazione dei climi, ma con poca concentrazione. Da qualche giorno sentiva come una strana febbricciola, una svagatezza mentale che non gli apparteneva. Fraulein Ilda, in giardino - le mani sui fianchi in quella posizione che le era così tipica - controllava il cielo, grigio, carico: le sembrava il coperchio di una pentola sceso apposta per rinchiudere ermeticamente il mondo. Sperava che almeno non grandinasse, perché non voleva salire di nuovo in città, dal vetraio. Non per altro: quell'uomo così allampanato e pulito, di origine italiana, aveva la tendenza a parlare per ore e ore solo di cibo. Fraulein Ilda non aveva tempo da perdere, aveva ancora tutti i lavori di cucito e pulizia da finire prima dell'inverno - e quella mania di Herr Koppen di stipare la casa di piante non aiut
Alle sette del mattino suona il telefono - Pronto? - Ciao Schifo, sono il tuo Disordine. - Scusi? - Sono il tuo Disordine, Schifo. Ti tengo sotto controllo. - Mi scusi ma forse lei ha... - Senti Schifo, non ho tempo per le tue cazzate. Ti dico solo una cosa: lascia perdere. - Non so di che... - Lascia perdere, hai capito Schifo? Lascia perdere o... - O? - Tu sai cosa. >click< Da due settimane sono sotto l'ultimatum del guru. «Professore! Sono solo passato a salutar...». La porta dello studio sbatte dietro di me. Dagli occhi del guru saettano lingue di fuoco. «A fine settembre», dice. «Cosa?» chiedo, cercando un modo non appariscente di tapparmi le orecchie. «Voglio l'articolo», le fiamme avvampano come se qualcuno, da dentro, avesse aperto al massimo la valvola del gas. Il cliché cinematografico qui richiederebbe una ripresa dall'alto, il protagonista che guarda verso la telecamera, pallido, si inginocchia per urlare l'urlo di Munch: un No protratto e modulato ch
Mia madre, mio padre. - Senti: a pranzo hai mangiato qualcosa? - Una pastasciutta col tonno, in bar. - Una pasta al tonno? - Non proprio. Ho ordinato una matriciana. Poi mi sono fatto mettere sopra del tonno.
sono arrivati con le scale e le lenzuola multicolore chiazzate. scale a palchetto, a arganello, a libretto, scale a chiocciola, scalette, sgabelli, trabattelli, alla marinara, scale di corda... le hanno estratte dal furgoncino traballante, su fino in salotto. hanno ammucchiato i mobili, nel centro della stanza e in due - erano in due - quello alto e quello basso, vestiti di bianco - pantaloni e canottiera e capelli - hanno spiegato i lenzuoli vecchi sul tavolo, sulla montagna degli ammennicoli accatastata, sui divano rivolti uno contro l'altro. hanno coperto le porte, a modo di tenda, e il pavimento con un gusto per il patchwork che non avrei mai detto. poi si sono guardati attorno, uno di fianco all'altro, le braccia incrociate, girando la testa sincronicamente, da sinistra a destra, da destra a sinistra, sempre verso l'alto. li ho visti prendere delle cinture piene di pennelli diversi, allacciarle in vita e cominciare il lavoro. «A modo loro sono dei genii», ha detto mia
1 Qualsiasi riferimento ad avvenimenti e persone esistenti non è del tutto casuale, ma non si può dire che le persone qui descritte e i fatti di cui qui si parla siano reali, se non in qualche parte della mia testa - o meglio: in qualche parte della mia lingua. Che poi, io, con questa limitazione, intenda dire che i fatti non sono reali - come tra l'altro ho appena fatto - e cioè che la realtà reale e la realtà della mia lingua siano gerarchizzate e che quindi una sia più reale dell'altra, questo è un altro discorso - per quanto, lo ammetto, il sintagma realtà reale possa far pensare a un diverso grado di realtà rispetto ad altre realtà, magari più isolate o del tutto personali. 2 Tu pensi di pensare e invece sei lì che pensi di pensare di pensare, cioè ti immagini di pensare e invece non è così, ti immagini di immaginarti di pensare, perchè tu non ti immagini mai che non pensi e che invece tu produci immaginazioni di pensiero che è altra cosa, sono pensieri pensati da altri c
[17.15] «ma se tanto non senti i sapori» dico a me stesso a voce alta, in bicicletta, senza freni, senza mani perchè le mani tengono i sacchetti del panificio «se il raffreddore ti ha completamente ottenebrato il gusto e l'olfatto, che cazzo ti compri le pizze di pastasfoglia?» In effetti parrebbe una mossa dettata più che altro dall'ingordigia - la golosità di chi è stato rinchiuso cinque giorni a letto, con trentotto e mezzo di febbre, immobile e boccheggiante sotto un piumone. Cinque giorni di febbre, e una strana vertigine che ancora mi sorprende talvolta di nascosto, senza motivazione: che io stia seduto o in piedi, che stia dormendo o leggendo o mangiando, una vertigine che rotea il mondo come il palmo di una mano che faccia girare una foto appoggiata a un tavolo. Fosse solo questo. Le gambe si ribellano alla prolungata stasi, si agitano e mi svegliano di notte. Ieri, alle tre, le gambe si sono ribellate al sonno, mi hanno svegliato a forza di calci e giravolte e si son
[14.36] Facciamo il punto della situazione. Dopo quasi tre mesi di dottorato ho cambiato progetto di ricerca tre volte. Praticamente una volta al mese. Ho già una bibliografia sterminata, pur non sapendo ancora esattamente su cosa. Sono indietro di tre articoli: uno - che è da un anno che devo concludere - tratto dalla tesi; uno di cui ho solo il titolo; il terzo di cui non ho neanche l'argomento. Vista questa impasse , ieri ho comprato un libro che pensavo non avrei mai comprato e che forse, invece, avrei dovuto comprare prima, cioè: come si fa una tesi di laurea , di Umberto Eco. Insomma: secondo Eco ho sbagliato tutto. La parte più bella è, comunque, questa: «Uno si porta a casa centinaia di pagine di fotocopie e l'azione manuale che ha esercitato sul libro fotocopiato gli dà l'impressione di possederlo. Il possesso della fotocopia esime dalla lettura. Succede a molti. Una sorta di vertigine dell'accumulo, un neocapitalismo dell'informazione. Difendetevi dalla fo
[14.11] Fai conto di salire in treno. Entri nello scompartimento, dove c'è un uomo che legge. E' seduto nel verso contrario all'andamento del treno. Lo saluti. Non appena ti siedi, lui ti mostra il suo libro. Ti dice "Leggi qui". E' un brano di Nietzsche. Aurora . Lo leggi. "Non ti sembra", dice, "che sia un invito alla menzogna?". E ti coinvolge in una discussione sull'uso più o meno legittimo, in politica, dell'ipocrisia. Tu lo incalzi, poi ti stufi. Fai finta di addormentarti. Lui ti scuote una spalla: "Ehi", dice, "Leggi qua!" Ti passa di nuovo il libro, un brano diverso; quando hai finito riprende la discussione. Arrivi. Poco prima che il treno si fermi, ti dice: "Sei un ragazzo intelligente, hai argomentato bene". Ti stringe la mano: "Mi è piaciuto parlare con te. Per caso ti interessi di astronomia?". Dici di no. "Non ti interessi di stelle, movimenti astrali, pianeti?" Rispon
[16.40] Ho male ai talloni, non riesco a stare seduto: sono le sedie della biblioteca - lisce, scomode, create per culi non umani: squadrati, tentacolari e un poco a conca - o il raffreddore, che ha nicchiato tutto l'inverno per esplodere oggi, in sternuti ogni mezz'ora e fuochi d'artificio di muco. Gli sguardi degli altri attorno. Invasati, sicuri di sè, del loro apprendere, mentre io sento le conoscenze rapprese, i frammenti di nozioni che non coincidono tra loro: un mosaico appena scosso dal terremoto - tessere microscopiche mischiate su un pavimento pieno di crepe. A casa, intanto, mia madre tenta di convincere la donna delle pulizie a non tornare in Romania, dall'ex marito. Dice che è cambiato - insiste lei. Non ci credo - risponde mia madre. Le rumene, racconta di sera a cena - con il suo talento per generalizzare l'ingeneralizzabile - hanno il cuore straziato, sono piene di un dolore che non si rimargina, vivono in una dimensione di perenne tragedia. [17.05]
[17.37] Sulle panchine del dipartimento si parla già di scogli e di maree. Cammino con la testa rivolta prevalentemente verso terra, occhieggiando furtivo i dintorni. L'agilità linguistica, gli affondi intellettuali, l'utile, il dilettevole, il dulce, lo psichico, l'ultrapsichico, l'emozione, la memoria, la tecnica, la gravitas, la leggerezza, l'ironia, il dolore, l'altro, il qui, l'ora, il realismo viscerale, il verosimile, il verso, la prosa, il virtuosismo, l'erudizione, il pieno, il vuoto, la visionarietà, la proprietà aggettivale, i colori, la densità, gli oggetti, i personaggi, l'intreccio, la fabula, lo psicologismo, il ritrono del rimosso, il racconto, la narrazione, l'affabulazione, la capacità ipnotica, la verità, la trasposizione, l'aderenza della parola alla cosa, la sintassi, la semantica, la morfologia, la punteggiatura, le virgole, i due punti, la formazione delle parole, la metafisica, l'oltre, la società, la chiaroveggenz
[14.08] - Senti. - Eh. - Ma ti ho sbavato? - ... no - Ti ho sbavato. - No no. - Dai, puoi dirmelo: ti ho sbavato. - Ma no, non mi hai sbavato. - Be' allora ti ho sputato, sputazzato, slavazzato, sgrondato... - No, no, non hai fatto niente! - Allora perché prima hai riso? - Ma niente. - Ti ho sbavato. - ... un po'. - Visto? - Ma solo poco! - Dio che vergogna. - Ma valà... - Che vergogna. E dimmi: quanto ti ho sbavato? - Poco. - Dai, quanto? - Ma niente! Un poco. - Mio dio. E com'era? - Cosa? - Com'era? La bava. Era filamentosa, una goccia, un grumo? Era schiumosa, limpida... - Ma che dici? - Quanto ti ho sbavato? Era tanto? Era un filo che è caduto dall'angolo della bocca? Oppure una di quelle gocce dense che innaffiano tutto. Dai, descrivi! - Ma niente! Era una goccia. - Che vergogna. - Macchè. Era una goccia minuscola. - Ti ho sbavato. - Non mi hai sbavato. - Ti ho sbavato, sarà stato almeno mezzo litro di bava. - Ma smettila. - Che vergogna. - Ma dài! - ... - ...
[9.23] Il giostraro dalle fattezze di uno scrittore di culto mi dice che sono pronto. Mi sporgo verso di lui, dal secondo piano della giostra: pronto per cosa? Sei pronto! mi dice lo scrittore, facendo partire il meccanismo a ruote dentate, sei pronto! Sì, ma pronto per cosa? Sei pronto... dice allontanandosi nel buio, sei pronto per l'operazione! Mentre il cavalluccio rosso non regge più il mio peso, chiedo: L'operazione? Sì, risponde lui, l'operazione alle adenoidi! Quando ero alle medie, R*, per convincermi a leggere It, mi disse - tra le altre cose - che Stephen King ti prende per mano e ti porta gentilmente dentro la storia, senza mollarti. Takeshi Kitano, in un'intervista, racconta che vorrebbe fare un film così: girarlo tutto, tagliare a pezzi le scene, rimontarle in ordine casuale, lasciare allo spettatore la visione d'insieme. [9.38]
[15.23] Il sosia di Noel Gallager ha un loden blu, indica qualcosa verso il Pedrocchi. Tra la folla - i laureati e i loro amici - altri loden, altri sosia - grigi in viso, spiccano per il perfetto blu dei loro cappotti, e occhiali da sole a lenti quadrate. Un sole primaverile illumina un azzurro che ricordo di aver visto l'altra settimana in un quadro del Beato Angelico - era il vestito di un santo con la testa tagliata. Abbandono accanto a un cestino il tetrapack di tavernello mezzo pieno. Guardo gli uomini in blu circondare un carro funebre nella zona pedonale. Un laureato sta rileggendo, in rima, non lontano da me, la sua vita sessuale; ha i capelli infarinati, e, sulla farina, chiazze gialle di uovo. Uova anche per terra: ma senza gusci, solo tuorlo che scivola gli spazi tra i sampietrini. AleP, direttamente da Barcellona, racconta che a Milano l'hanno perquisito. Dice: «Ci hanno riuniti in una stanza, hanno aperto le nostre valige. "Cosa abbiamo qui?" ha detto un
[16.45] meglio di un fiume carsico, così riemerge la stronzaggine, senza motivo, se non forse il trauma del rientro o, piuttosto, la frustrazione di non sapere chi o cosa ha vinto sanremo. Il mio vicino - più vecchio di me di qualche anno - si è laureato martedì, mentre io, invece, ambivo a un piatto di moules et frites - «allora? come è andata?» gli chiedo adesso, fuori dal garage; «bene bene, non vedi? non mi vedi più leggero? tolto un peso, adesso posso cazzeggiare» risponde, con un riso che gli invade metà faccia, una vena in mezzo alla fronte sul punto di annodarsi dalla felicità. «Perchè», dico senza accorgermi, «prima che facevi?». (Dal treno, stamattina, in ritardo di tre ore, scendo praticamente al volo, consegno il bagaglio al deposito, corro in università per non perdere un appuntamento fondamentale, penso: prendo un autobus - mai preso un autobus in vita mia - aspetta sì, in prima superiore - salgo, chiedo all'autista: ma questo - intendo l'autobus - ferma a piazz
Vado a Parigi, poi torno Qui, intanto, una vecchia cosa. Ciao PISTACCHI (un racconto) E poi, da Mortimer, scoprii che fine aveva fatto il gatto - Pipino si chiamava - o almeno così pensai: che lui, Mortimer, se l’era mangiato e ce l’aveva pure offerto: come fosse stato del coniglio. “Volete del coniglio?” ci aveva detto. “Io ne ho troppo e non lo mangio.” Così, come se fosse stato niente. E si era tenuto anche il collare, in un cassetto: in cucina... tra un coltello e l’altro: Pipino, c’era scritto in rosso, e ce n’erano altri, quasi tutti anonimi, o con campanelli e targhette di riconoscimento, e indirizzi. E lo scoprii per caso, mentre lui al telefono cercava mia madre, perché il braccio, eh sì, me l’ero rotto... cadendo da quell’albero. Avesse saputo! che stavo spiando lui: lui: lui... Mortimer!... Mortimer: un mistero... Sempre in giacca e farfallino; bassoccio; il viso magro; aveva un dente d’argento: un incisivo. Mia sorella mi diceva che era un Diavolo: che aveva una fornace in
Da quando ho scoperto che Bud Spencer si candiderà per Forza Italia alle regionali in Lazio, non mi sento più tanto bene.
"Ciao!" mi dice all'ingresso della biblioteca. E' un ragazzo. Giovane, avrà 22 anni: giacca di velluto marrone, docevita nero, jeans. Sorride. Penso, con cattiveria, che sia un leninista. Ha una valigetta, e mi sorride di un sorriso totale. Lo supero per dirigermi verso il parcheggio delle biciclette. Mentre gli passo accanto modulo con la glottide, per spaventarlo, un ringhio subsonico, un suono a metà strada tra il respiro di Dart Fener e la moka del caffè. Ma lui: mi segue. E' il mio primo giorno di dottorato. Non ho la minima idea di cosa debba succedere, non so dove dovrei essere o cosa fare. Dopo l'iscrizione nessuno mi ha più contattato - e io che contavo su missioni segrete, ordini che si autodistruggono in cinque secondi, furti di manoscritti! - non ho neppure un documento che certifichi che sono iscritto a qualcosa, da qualche parte: non una tessera, non una ricevuta, neppure una spilla, nulla, niente, niente di niente di niente di niente. "Ciao
100 variazioni su Duccio Duccio, Ducc, Puccio, Luccio, Uccio, Ducchio, Ducchione, Oiccud, Duccevole, Duccioforo, Ducciofobo, Ducciomorfo, Sdrucciolo, Sdrucciolevole, Sducc, Ducciazzo, Duccinbanco, Ducciofago, Ducciofilo, Ducceràtopo, Duccìneo, Duccilineo, Ducciofrodita, Ducciabbestia, Ducciabile, Duccibile, Ducciobile, Duccente, Ducciaro, Duccéro, Ducciò, Duccista, Ducciaulico, Ducciurgo, Ducciante, Duccianza, Duccite, Ducceronte, Ducciàno, Ducciriflessivo, Ducciodinamico, Dùccialo, Ducciàlo, Ducciando, Du-duccio, Ur-duccio, Straduccio, Ducciamaro, Ducciology, Duccy, Diseducaduccio, Dùcciomon, Digi-duccio, Duccemente, Ducciàvolo, Dùcciolo, Duccino, Duccello, Duccinbocca, Ducciardo, Duccivo, Duccerò, Duccivendolo, Duccìa, Duccio-cavalluccio, Ducciforme, Ducciomunito, Duccita, Ducciàsta, Duccissimo, Duccerrimo, Duccio-world, Duccioland, Ducciocountry, Duccivoro, Duccioso, Duccillo, Duccilloso, Ducceroso, Duccerogeno, Ducciofilia, Ducciosessuale, Duccità, Duccività, Ducciolettato, Duc
L'anno nuovo ha portato qualche certezza, una bottiglia di four roses e un concerto di Zarrillo. Poteva andare peggio. Mentre Massimo dormiva nella camera di mia sorella, riadibita per l'occasione a sala pseudocinematografica - e una manciata di ragazze appena conosciute si facevano fotografare al suo fianco, senza che lui desse nessun segno di svegliarsi; e mentre in cucina, attorno al tavolo, un gruppo di aficionados spalmava ladro su pane riscaldato e inforchettava una serie di patate sabbiose - ed erano le tre, il cotechino si stava giusto cucinando, la pentola del purè si incrostava nonostante i ripetuti assaggi e la pipa di Mauro veniva dimenticata dal legittimo proprietario - e mentre, nel frattempo, in salotto, qualche imperterrito continuava a ballare con Rino Gaetano, e le lattine vuote di birra creavano coreografie acrobatiche sulla tovaglia in teflon (antiproiettile, quindi), io vagavo tra l'urlo di Munch gonfiabile e la maschera in cartapesta della renna diabo