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Qualsiasi riferimento ad avvenimenti e persone esistenti non è del tutto casuale, ma non si può dire che le persone qui descritte e i fatti di cui qui si parla siano reali, se non in qualche parte della mia testa - o meglio: in qualche parte della mia lingua. Che poi, io, con questa limitazione, intenda dire che i fatti non sono reali - come tra l'altro ho appena fatto - e cioè che la realtà reale e la realtà della mia lingua siano gerarchizzate e che quindi una sia più reale dell'altra, questo è un altro discorso - per quanto, lo ammetto, il sintagma realtà reale possa far pensare a un diverso grado di realtà rispetto ad altre realtà, magari più isolate o del tutto personali.

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Tu pensi di pensare e invece sei lì che pensi di pensare di pensare, cioè ti immagini di pensare e invece non è così, ti immagini di immaginarti di pensare, perchè tu non ti immagini mai che non pensi e che invece tu produci immaginazioni di pensiero che è altra cosa, sono pensieri pensati da altri che ripercorri pensando, immaginando, schemi immaginativi che applichi a immaginazioni già immaginate, a pensieri che hai letto o sentito ma non pensato, pensieri di immagini di pensiero immaginativo, meta pensiero, meta meta immaginazione, immaginazione sull'immaginazione dell'immaginazione, pensiero sul pensiero sul pensiero sul pensiero - leggi così, amico ingegnere: {pensiero sul [pensiero sul (pensiero sul pensiero)]} - in un tornado pensieroso e immaginativo che scoperchia - con un pop da tubo pringles - il cranio avvitato a bell'e meglio, tenuto magari semistabile con lo scotch - scotch di carta, naturalmente.

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Poi dice: Il tuo blog. Allora io tento di cambiare discorso. E lui dice: Il tuo blog, è così: tu sei in casa, poi esci, incontri qualcuno e ti stupisci; cioè tu sei isolato poi esci e ti stupisci; tu ti stupisci dell'esistenza del mondo; tu esci e pur sapendo che fuori esiste qualcosa ti stupisci lo stesso della sua esistenza; pur essendo consapevole che fuori di te c'è altro - altro da te - e pur in grado di sapere che fuori da te c'è tutto il possibile altro - cioè le condizioni e le combinazioni di alterità fuori da te sono infinite e tutto può capitare - tu di stupisci perchè l'alterità che trovi fuori è altra oltre a quella che ti immaginavi; cioè: tu nel tuo blog, uscendo, confrontandoti con l'altro, ti stupisci dei limiti della tua immaginazione del mondo; cioè esci dai confini di una fantasia diciamo un po' intorcolata su se stessa in un mondo nel quale vorresti immergerti - più che altro ti immagini di volerti immergere, perchè quando pensi di immergerti ancora non ci sei immerso, nel mondo, e non sai cosa ti aspetta immergendoti nel mondo - e confonderti con gli altri, ma non puoi perchè il mondo è altro dalla tua immaginazione del mondo: il tuo stupore è ciò che ti permette di stare a un passo dal mondo, di rifiutarlo pur volendoci entrare - anche se, naturalmente, tu vorresti entrare in un mondo che non è il mondo: è solo, insisto, un'immaginazione del mondo, parziale, e, proprio per questo, esclusiva, nel senso che ti esclude dal vero mondo - è così? E' così il tuo blog? Ti ritrovi in questa descrizione del tuo blog?

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale