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E allora scese l'Angelo della Nevrastenia in mezzo ai fulmini - in un lampo di magnesio apparì sopra il monitor - e aveva il volto che sembrava il riflesso in un vetro, e teneva la sinistra nella destra e la destra all'altezza del cuore. E aprì la bocca, e dalla bocca srotolò una voce che disse: «In v-verità in v-v-verità t-ti d-d-dico che t-t-tu s-s-scriverai con d-d-dolore, e che p-p-prima c-c-c-c-che c-c-c-canti il g-g-gallo t-t-tre volte t-t-tu m-m-mi r-r-riconoscerai n-n-nei t-tuoi gesti». Così disse l'Angelo della Nevrastenia e aprì le mani sopra di me e con le mani mi toccò la fronte e mi infuse il Tremore della Nevrastenia e lo Scatto Isterico Immotivato. E fui tutt'uno con lui e lui con me.

E allora vi dico: aprite i vostri cuori alla Nevrastenia, perché vostro è il regno della Nevrosi.

Decisi di cambiare vita. Iniziai a svegliarmi alle sette: per avere più tempo per essere nervoso, e per essere più nervoso ogni giorno. Mi aiutavano in questo le urla del nipote duenne e il clima vile e piovoso. Non desideravo incontri col guru prima della scadenza, ma andai lo stesso da lui ad accompagnare un'amica. E mentre lei aspettava, io mi nascosi dietro l'angolo del corridio. Ma quando mi accorsi, dai passi e dalle voci, che il guru arrivava verso di me, mi accucciai dietro la fotocopiatrice. Dal nascondiglio spuntavano i piedi. Mi ritrovai all'ombra del guru che mi chiese cosa stavo facendo. E la voce di Homer Simpson nel cervello mi disse «Dì qualcosa di intelligente. Presto, dì qualcosa di intelligente». E allora dissi che stavo cercando, ehm, l'interruttore della fotocopiatrice perché, eeeh, dovevo, come dire, sì, accenderla, ecco, accenderla per, ehm, sì, fare delle, uh, fotocopie, sì, e cheee. E il guru rispose che la fotocopiatrice era già accesa, e che comunque l'interruttore non era là. E io, con la mano dietro la nuca, toccandomi il naso cinque sei sette volte, risi.

Ma lui no.



(*) questo post ha qualche debito con questo

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale