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L'anno nuovo ha portato qualche certezza, una bottiglia di four roses e un concerto di Zarrillo. Poteva andare peggio. Mentre Massimo dormiva nella camera di mia sorella, riadibita per l'occasione a sala pseudocinematografica - e una manciata di ragazze appena conosciute si facevano fotografare al suo fianco, senza che lui desse nessun segno di svegliarsi; e mentre in cucina, attorno al tavolo, un gruppo di aficionados spalmava ladro su pane riscaldato e inforchettava una serie di patate sabbiose - ed erano le tre, il cotechino si stava giusto cucinando, la pentola del purè si incrostava nonostante i ripetuti assaggi e la pipa di Mauro veniva dimenticata dal legittimo proprietario - e mentre, nel frattempo, in salotto, qualche imperterrito continuava a ballare con Rino Gaetano, e le lattine vuote di birra creavano coreografie acrobatiche sulla tovaglia in teflon (antiproiettile, quindi), io vagavo tra l'urlo di Munch gonfiabile e la maschera in cartapesta della renna diabolica, con una caviglia acciaccata, senza sedermi mai per non rischiare l'addormentamento. Non pensavo a niente e cercavo invece di capire chi si stesse divertendo e chi no, immaginando le conversazioni, gli umori, la sonnolenza, il grado alcolico dei più. Mi avvicinavo instintivamente a Giovanna, che aveva due peperoncini pendenti dalle orecchie, per baciarla sotto il vischio attaccato all'architrave con lo scotch, e fermavo lo sguardo più del dovuto alla versione animata dei sette samurai (in giapponese, coi sottotitoli) proiettata per tutta la serata nella stanza in cui Massimo dormiva. Contemporaneamente, cioè qualche ora prima, la cicciona-madre con le due ciccione-figlie - e in assenza del ciccione-figlio - sbavavano e sbraitavano, minacciando l'intervendo dei carabinieri per una scintilla che dal balcone di casa si era proiettata sulla spazzatura, incediandola blandamente. Poi le fontane, disposte in fila sul marciapiede di fronte, hanno fatto da quinta a quattro ragazzi che sul muro - muro marrone - hanno scritto tra le faville, con lo spray rosso: buon anno ribelli e tanti buoni scontri.

(E comunque più del nuovo anno rallegrò la platea la notizia accresciuta e già leggenda di un eroe che aveva aggredito il presidente del consiglio - una lite? un cazzotto? no, tre, quattro, mille! ma è vero che... sì, un pugno in testa, sulla crapa, uno nello stomaco, un occhio nero, quattro sberle, un calcinculo, sette sgambetti, il naso rotto! la ricrescita strappata, le orecchie piegate, pizzicotti! due manrovesci, quattro calci di punta, tre di collo, una ginocchiata, qualche testata, molte sgomitate, un laccio californiano e un volo d'angelo infine...)

Ma Zarrillo, allora?

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale