Quando alla radio passano Paradise City dei Guns’n’Roses non posso fare a meno di pensare a che musica di merda ascoltavo dieci anni fa. Take me down to the Paradise City where the grass is green and the girls are pretty. Mi rimane la soddisfazione di non aver mai comprato originale Use your illusion, con quelle canzoni ruffianissime, con quei video pacchiani pieni di modelle strafighe attorno a quel simobolo della pura mostruosità che è, che era, Axl Roses – a partire dalla voce.
Cantavamo i Guns’n’roses come difesa, come per resistere, io e Christian. Avevo anche comprato una maglietta orribile con un teschio enorme sul davanti. Ce l’ho ancora. Christian era tedesco, di Brema, ma non lo diceva mai, perché tanto gli americani se gli dici Brema ti chiedono: and where the fuck is? E se anche gli dici che è vicino ad Amburgo, loro annuiscono, perché il nome magari l’hanno sentito nominare, ma sulla carta gli è oscuro come prima. Una ragazza davanti a me, nell’aula di chimica, mi chiese che lingua si parlava in Italia. L’italiano, dissi. E lei ci rimase male, che non se l’aspettava. Dopo sei mesi progettavamo vie di fuga. Christian era ridotto peggio di me: era finito in una famiglia il cui figlio maggiore voleva fare il prete. Ma si era rifatto con gli amici: girava con Brad che teneva una pistola nel cassetto della Lexus e una tanica piena di benzina nel bagagliaio. Diceva che gli serviva, la tanica, perché prima o poi avrebbe dato fuoco a qualcosa. E tieni giù la pistola, che se ci vede un poliziotto sono cazzi.
Sì, lo so, i soliti luoghi comuni.
“Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo. Comunque, volete stare comodi a casa vostra? Sì, fate quello che volete, ma non le pantofole. Le donne al limite possono mettersi le scarpe cinesi, anche se mi hanno lasciato sempre un po’ freddo. Quei colori così decisi: rosso rosso, azzurro azzurro, nero nero. E poi quella specie di scollatura attraverso cui si intravedono alcune dita: ma che mi vuoi provocare facendomi vedere un po’ di dita?! E allora le caviglie?”
No, non diventerò psicopatico.
Lo sono già.
Cantavamo i Guns’n’roses come difesa, come per resistere, io e Christian. Avevo anche comprato una maglietta orribile con un teschio enorme sul davanti. Ce l’ho ancora. Christian era tedesco, di Brema, ma non lo diceva mai, perché tanto gli americani se gli dici Brema ti chiedono: and where the fuck is? E se anche gli dici che è vicino ad Amburgo, loro annuiscono, perché il nome magari l’hanno sentito nominare, ma sulla carta gli è oscuro come prima. Una ragazza davanti a me, nell’aula di chimica, mi chiese che lingua si parlava in Italia. L’italiano, dissi. E lei ci rimase male, che non se l’aspettava. Dopo sei mesi progettavamo vie di fuga. Christian era ridotto peggio di me: era finito in una famiglia il cui figlio maggiore voleva fare il prete. Ma si era rifatto con gli amici: girava con Brad che teneva una pistola nel cassetto della Lexus e una tanica piena di benzina nel bagagliaio. Diceva che gli serviva, la tanica, perché prima o poi avrebbe dato fuoco a qualcosa. E tieni giù la pistola, che se ci vede un poliziotto sono cazzi.
Sì, lo so, i soliti luoghi comuni.
“Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo. Comunque, volete stare comodi a casa vostra? Sì, fate quello che volete, ma non le pantofole. Le donne al limite possono mettersi le scarpe cinesi, anche se mi hanno lasciato sempre un po’ freddo. Quei colori così decisi: rosso rosso, azzurro azzurro, nero nero. E poi quella specie di scollatura attraverso cui si intravedono alcune dita: ma che mi vuoi provocare facendomi vedere un po’ di dita?! E allora le caviglie?”
No, non diventerò psicopatico.
Lo sono già.