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Evidentemente devo espiare qualcosa.

Non è solo il fatto di essere stato attaccato da uno sciame di cavallette; o la banale pioggia di rane che mi ha travolto oggi pomeriggio (Ale, ma cos'hai nel cappuccio? - Eh?... E' una rana - Ma scusa, che ci fa una rana nel tuo cappuccio? - Be'... mi è piovuta addosso - Una rana? - Non una rana, una pioggia di rane - Ma se c'è il sole! - Eh, è stato un attimo...)
E' che le macchine hanno deciso di dichiararmi guerra.

Alle nove di mattina, per controllare la posta elettronica, accendo il computer. Il computer esplode. Infatti adesso sto scrivendo dalla biblioteca. Il computer di casa mia fa PUM - un pum attutito - e non si accende. Contemporaneamente si sente nell'aria un odore di plastica bruciata. Ok.

Ho solo perso qualche capitolo della mia tesi, in quel computer. E qualche altra cosa di minore importanza, che so, tutto quello che ho scritto dal 1992 a oggi.

So già la domanda. Me l'hanno fatta in dieci stamattina. "Ma non hai salvato da qualche altra parte?"

No, ok? OK? No. Non ho salvato niente da nessuna altra parte. Io mi fido delle macchine - aerei a parte. Io, il progresso, le macchine, la meccanica, l'informatica, la nanotecnologia, io, tutti questi prodigi, io... io...

Sì, ok sono un deficiente, lo so, grazie.

Allora, sconfortato, mi metto a scrivere sul portatile di mio padre. Ma sulla mia testa iniziano i lavori. Mi sposto in cucina. Appena mi sposto, iniziano i lavori sopra la cucina. Torno nella stanza precedente, dove adesso c'è silenzio, i lavori mi seguono. Mi sposto ancora, si spostano i lavori. Comincio a sospettare un complotto.

Spengo il portatile. Lo metto in borsa. Mi vesto. Vado in biblioteca.

Alle tre del pomeriggio, scendo in emeroteca per fare due fotocopie. Lascio il computer sul tavolo, acceso con lo schermo chiuso, per non far leggere al mio vicino di tavolo, che mi sta sulle palle, cosa sto scrivendo. La macchina per caricare la tessera delle fotocopie ha deciso che i miei cinque euro non le piacciono. Me lo scrive nel display a cristalli liquidi. "Non voglio i tuoi soldi di merda", scrive. Mi faccio cambiare le banconote in monete. La macchina mi risputa addosso le monete. Mi faccio cambiare le monete con una nuova banconota. La macchina, evidentemente, controlla le impronte digitali. I miei soldi non li vuole. Quelli della ragazza dopo di me, invece, li prende al primo colpo.

Ok. Alla fine, dopo tre cambi di banconote e monete, la macchina desiste.
(D'altronde è una macchina veneta, i schei, alla fine, son sempre schei.)

Fotocopio le due pagine. Torno al computer. Alzo lo schermo. Lo schermo rimane nero.
Aspetto.
Nero.
La ventola inizia a sbuffare.
Aspetto.
Aspetto.
Non ho salvato quello che ho scritto.
Abbasso e alzo lo schermo. Lo schermo è nero.
Aspetto.
Aspetto.
Formulo un piano per sganciare bombe atomiche a bassa intensità su tutto il mondo in modo da eliminare dal pianeta ogni traccia di campo magnetico.
Aspetto.
Aspetto.
Sto ancora aspettando...

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
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