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La capsula è di metallo - credo una lega di carbonio e titanio. Le parti in ceramica non ho mai capito bene a cosa servano, ma servono da quello che mi dicono. La capsula ha forma cilindrica ed è alta quattro metri. Il diametro della base è di tre metri. Praticamente, un’enorme lattina. Il mio spazio vitale è ridotto al minimo: una poltrona reclinabile, uno schermo, un finestrino rettangolare, una tastiera. Se mi alzo, devo piegare un poco le spalle per non sbattere la testa. Dietro di me c’è la porta del bagno. Ecco tutto.

Non si sta male, qui in orbita. Ci sono tutte le comodità. Il cibo mi viene consegnato a orari precisissimi. Alle volte posso pure sgarrare, se mi va. Di solito non mi va. Il computer apre lo sportello alla mia destra (quello a sinistra è per il telecomando) e mi passa il vassoio a scompartimenti. Uno scompartimento con la pasta. Uno con il pollo. Poi il dolce. Gli scompartimenti permettono al cibo di non mischiarsi. Potrei farlo io, potrei mischiarli. Di solito non lo faccio. Per bere ho dei tubicini che mi vengono calati dal soffitto. Se voglio ho dei bicchieri. Di solito i bicchieri li uso solo per il caffè.

L’orbita è sempre uguale e fissa. Gira, gira, gira attorno. Se sono fortunato, la capsula è rivolta verso la terra e posso immaginare di vedere, laggiù, qualcosa che si muove. Mi sembra di provare nostalgia, in quei casi. Quando provo nostalgia mi metto subito al lavoro. Devo fare un tot di calcoli, prima di rientrare, calcoli statistici sul numero di asteroidi che passano. A dire la verità non ho capito bene neppure io. Ho delle formule, applico quelle. Quando mi metto al lavoro, mi sembra che non riuscirò a finire mai. Mi dico: non finirò mai. Mi dico: be’, comunque ho tutto il tempo. Mi metto a giocare a campo minato.

Alle volte incrocio qualche altra capsula che vaga in orbita. Non so perché, le capsule degli altri mi sembrano molto più comode. Quando le radio sono abbastanza vicine, riusciamo a scambiarci due parole: “Ciao!” “Ciao!”“Come va?”“Bene, procedo. E tu?” “Anche io, vado avanti.” “Hai sentito di A?” “Cosa?” “Ha finito.” “Ha finito? E adesso?” “E’ uscito dall’orbita.”“Ah. Ma è finito a terra? o nello spazio?” Silenzio. Le orbite non permettono lunghe conversazioni.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o...
Se una notte d'inverno lo spazzolino elettrico di tuo figlio si anima di vita propra senza nessun apparente motivo e tu e tua moglie vi trovate in bagno, assonnati, per capire da dove proviene quella vibrazione e in quel momento, dallo scarico del lavandino un gorgoglio rauco esala una risata che richiama alla memoria una brutta storia mai del tutto chiusa, allora, ecco, forse qualcosa si sta agitando; ma non qui: di qua . So che non dovrei farlo.