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Ceni a casa, stasera?, dice mia madre sulla porta dello studio.
Sì, mangio a casa.
Bene, dice mia madre, perché ci sono le orate.
Bene, dico, le orate.
fratres, dice lei
Cosa?
Fratres, dice.
Cosa stai dicendo?
Orate fratres. Non lo sai il latino?
Sì, ma…
Orate fratres, ripete e se ne va.

Ho sognato il cane degli Inumani. Non era proprio il cane degli Inumani; una specie: diciamo: la stessa specie. Un bulldog, credo. Gli Inumani sono dei personaggi della Marvel: una popolazione di superesseri che vive sul lato oscuro della luna. Il cane degli Inumani è un bulldog gigante con un diapason sulla fronte che teletrasporta le persone dove vogliono. Il cane che ho sognato era un bulldog nero, femmina, incinta. Ho sognato un bulldog nero che partoriva, ma non partoriva cuccioli. Partoriva i personaggi della prima serie di star trek, alti dieci centimetri e ammassati assieme come un fascio di asparagi. I personaggi di star trek avevano dei maglioni a girocollo rosso – che erano le loro divise - e pantaloni neri e una volta partoriti si alzavano e se ne andavano in giro per casa cercando da mangiare.

Ieri sera ero convinto che avrei studiato. Ero deciso. Avrei passato la notte a studiare. Mi sono detto: prima controllo la posta.
Ieri sera, convinto che avrei studiato, controllando la posta, ho trovato un’e-mail di un mio amico piena di zeta. Questa e-mail aveva delle parole che non gli ho mai sentito usare al mio amico, parole come: notizia, complicazione, interruzione. Io pensavo di mettermi a studiare, invece ho spento il computer, ho spento la luce, mi sono svestito, mi sono disteso sotto le coperte. Nel buio, guardavo il soffitto e secondo me c’era qualcuno sotto il letto, perché da sotto sentivo tirare la coperte, e il bordo della coperta mi stringeva il collo, lo stringeva fortissimo, così forte da non farmi respirare. Qualcuno sotto il letto tirava le coperte e io mi sentivo intrappolato, non riuscivo a respirare, strizzavo gli occhi e lacrimavo.

Lacrimavo e lacrimavo.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale