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A te non pare di aver bevuto così tanto, eppure in macchina, tornando a casa, mentre commentate la serata, ti attraversa la certezza che l’espressione Va in mona de to sorèa (Cioè: Accomodati nella vagina di tua sorella, per favore) sia un’espressione poeticissima.

All’una e mezza di notte, da casa, le telefoni, ma non risponde nessuno. Chiami. Aspetti. Dalla finestra aperta senti le voci di due ragazzi che litigano. Spegni la luce e ti apposti accanto il vetro per vedere che succede. Ma non succede nulla. Poi telefoni di nuovo: continua a non rispondere nessuno.

E*, quel pomeriggio, ti aveva raccontato dei suoi litigi. Alla fine aveva chiesto di te. Ti aveva consigliato di insistere. E’ quello che sto facendo, hai detto. Le donne premiano la costanza, ha detto lei. Eh sì, ha ripetuto, le donne, la costanza, la premiano, la costanza. E tu, dopo questa frase, ti sei sentito sgonfiare, come se qualcuno ti avesse bucato. E quando lei si è girata e ti ha visto perdere volume, ti ha chiesto: Ale, che succede? Nulla, hai detto. Ma la tua voce era sempre più flebile. Posso fare qualcosa? No, no, succede sempre così, lasciami qua. Posso rigonfiarti? No, lasciami qua, mi gonfio da solo. Ok, ha detto, Però insisti! E ti ha lasciato sulla fontana, così, completamente sgonfio: la tua pelle faceva tutte le grinze e il viso perdeva fisionomia.
Facevi impressione, lasciatelo dire.

Allora la sera sei andato a una festa invece che a un’altra. Tu e i tuoi amici - quasi tutti i tuoi amici - avevate dei lupi in faccia: vi voltavate a scandagliare le prede. Posizionati a cerchio, facendo finta di parlare, col bicchiere in mano, giravate la testa a destra e sinistra puntando il mirino sulle possibili vittime.

- Assaggia questa birra.
- Che ha?
- Niente assaggia. L’hai assaggiata?
- Sì.
- Lo senti? Sa di sudore.
- Ma che schifo…
- Ma cosa dici?
- Dice che la birra sa di sudore.
- Non lo senti, sa di sudore! Assaggia.
- Basta, non voglio più berla.
- Lo senti? Sa di sudore, una birra che sa di sudore. Per questo costa poco.
- Non sa di sudore.
- Sì, che sa di sudore, lecca il mio sudore. Senti, dai.
- E poi pisciami addosso.

Tu e D vi allontanate verso un bar, D ordina due havana&cola. Il barista chiede: “Cos’è? E’ havana club con coca cola?” Brafo. Hai indofinato.
Non riesci a capire perchè alle persone vengono sempre in mente ricordi fantastici, immagini piene di significato, mentre a te invece ti tornano solo ricordi del cazzo. Sarà un caso?

Spagna, Alicante. Tu e D andavate sempre allo stesso bar, perché la prima sera il barista vi aveva offerto due birre medie. Allora ogni giorno vi fermavate lì almeno due volte al giorno e vi dicevate Dai che stavolta offre di nuovo. Dai che stavolta offre. E non offriva mai. Vi dava solo dei sottaceti che avevano tutti lo stesso sapore: cipolline, cetrioli, carote: tutte il sapore aspro della salamoia e solo quello. Il bar era gestito da un ragazzo rasato a zero con una testa enorme, e dalla madre. Voi arrivavate e vi sedavate a uno dei tre tavoli. Guardavate la televisione spagnola o giocavate a carte. Ogni tanto qualcuno conversava con voi.
La madre, un giorno, vi si avvicina, guarda D, gli tocca la maglietta e dice Muy bonita! Eh, fa D, è italiana. La madre guarda te, guarda la tua maglietta, seria, serissima, poi guarda D, guarda la sua di maglietta e sorride: bonita! Guarda te, seria; guarda D, sorridendo. Guarda te, seria; guarda D, sorride. Si siede a un tavolo, guarda la televisione, scarabocchia qualcosa. Voi finite la birra, vi alzate, andate a salutarla. Su un foglio ha disegnato le vostre due magliette. La tua ha una croce sopra.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale