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I traslocatori del piano di sopra lasciano tracce bianche sulle piastrelle bordeaux del tuo salotto. Trasportano una libreria enorme in balcone, perchè da lì è più facile passarla in strada. La appoggiano in bilico sulla balaustra. La libreria di legno, azzurra, oscilla pericolosamente al vento. Piove.

Da lontano, nella via, una donna sbraita: “Vai in figa detomare! Ebreo!”
Adesso aspetti solo che smentisca, urlando: “Era una battuta ironica, non l’hai capito?”

L’inquilina del piano di sopra deposita sculture nel tuo salotto: sta sbaraccando casa prima dei lavori che trapaneranno la tua estate. Sono delle sculture a forma di pezzi degli scacchi. C’è un pedone alto fino alle tue ginocchia. Un cavallo nero che ti arriva all’ombelico. Un re bianco che ti sfiora le spalle. Il diametro della loro base si adatta perfettamente al lato delle piastrelle. Li sposti in giro per la sala cercando impossibili posizioni di scacco matto, accerchiando la televisione.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale