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Qualcuno ha qualcosa da aggiungere?

suona il telefono
- Ale, sì, dammi il numero di Pw
- Sì, eccolo.
metto giù il telefono
suona il telefono
- Ale, mi hai dato il numero sbagliato.
- Ah, sì?
- Ho chiesto di Pw e mi ha risposto Davide.
- Eh, ah, eh sì, ti ho dato il numero sbagliato.
metto giù il telefono

suona il telefono
- Ale
- Pronto?
- Pronto?
- Ah, ciao.
- Novità?
- No
- Sicuro?
- Sì
- Sicuro? Eh, sei sicuro?
- Ma sì, c'è qualche novità, ma ti dico a voce.
- Ah, ma quindi ci sono novità
- Sì, no. Ho parlato. Ecco.
- Hai parlato. E?
- E niente.
- Niente?
- Niente. Al punto di prima.
- E lui, che ti ha detto?
- Lui? Lei, vorrai dire.
Pausa
Pausa prolungata.
Pausa imbarazzante.
- Scusa, non stavamo parlando della tua tesi?

Uova. Personalità scissa. HongKong.
Questo non è un film di Kung Fu.
Occhio allo Zero. Parli troppo. Io non dirò
più niente.

Infatti, non ho più niente da dire.


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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale