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Forse sto perdendo il controllo sugli oggetti - penso in corridoio.

... poi alle volte ti svegli e ti sembra di essere nel mezzo di una dissolvenza incrociata, nella quale due immagini si sovrappongono senza essere nè una nè l'altra e tu sei incastrato proprio lì, bloccato come in un fermo-immagine, senza sapere quale delle due svanirà e quale, invece, diventerà presente e reale...

Cosa stai facendo? chiedo.

Ho comprato un quaderno verde stamattina, (o era ieri?) a righe, e oggi non lo trovo più, così eccomi a passare il pomeriggio ripetendo avanti e indietro il percorso da camera mia a camera di mio fratello, spostando i libri - incolonnati sul tavolo in un ordine fittizio - da destra a sinistra, poi da sinistra a destra alla ricerca del quaderno verde a righe che ho comprato stamattina (o devo ancora comprarlo?), in un tripudio di frustrazione, senza capire se ho messo il quaderno appena comprato in borsa o se invece, senza accorgermene, ho sbagliato mira facendolo cadere per terra. Ma com'è che mi ricordo di averlo appoggiato sul tavolo oggi? E se ho questo ricordo, come posso non esserne sicuro, tanto da pensare di aver sbagliato mira nell'infilare il quaderno in borsa? Com'è che il mio cervello genera e crede a queste spiegazioni pur avendo la sicurezza di non essere in balia del pieno rincoglionimento?

... e questa sensazione si trascina attraverso la giornata dando a tutto ciò che vedi una patina di inconsistenza: passato e futuro si confondono, il tuo sguardo produce altre sovrimpressioni che non sai distinguere e via così, dislocato continuamente, confondi i rumori della mattina con quelli del pomeriggio, le persone ti appaiono accanto e parlano pur, forse, non essendoci...

Appena sveglio sento un rumore, come di sfregamento. Sono le sette. In cucina qualcuno immerge qualcosa in acqua. Sfregamento, sfregamento, acqua. Sfregamento, sfregamento, acqua. In mutande, senza occhiali, apro la porta (trovo la maniglia a memoria, mica perchè la vedo) Sfregamento, sfregamento, acqua. Mia madre su una scala, accanto alla parete, con uno staccio in mano, ai piedi della scala un secchio. Cosa stai facendo? chiedo. Lei si ferma: Pulisco i muri, dice. Alle sette di mattina? Guarda che sporchi che sono. Torno a letto, mi riaddormento, lo sfregamento scompare. Quando mi sveglio, un'ora dopo, in cucina non c'è più nessuno. Ma i muri sembrano incredibilimente più brillanti.

... fino a quando non trovi insopportabile tutta questa sincronia - ingestibile quantomeno - e cerchi uscirne, anche se non sai bene come...

Ma ecco cosa mi ricordo con precisione: che su un cavalcavia in un posto imprecisato tra Bologna e Padova, tornando da Lucca, cercando alla radio una musica umana che accompagnasse il viaggio, con T che meditava sulla fluorocontaminazione e Marchevole che si allenava per i campionati di canto nazionalpopolare (e ancora in macchina risuonavano le parole chiare che ci erano state ripetute a Lucca, e cioè che il nostro fumetto era bello ma assolutamente invendibile) io pensavo - con un'esattezza al limite della pignoleria - che ero contento di tornare a casa perché così ci saremmo rivisti presto...

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale