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La nuova donna delle pulizie è una signora enorme che proviene dal Perù. Suo figlio, invece, è un pidocchietto striminzito non più grande del mignolo del piede della madre. Alla domanda quanti anni hai alza una manciata di dita e dice due. Mia madre me lo porta in camera per mostrargli il computer. Spengo campo minato e free cell più velocemente possibile. Pretendo di star lavorando. Non posso badare al nano - dico più o meno - sono concentrato. Il nano è un nano bellissimo. Questo - penso - a due anni ha più successo con le donne di me adesso. Figurati tra venti. Ci guardiamo con diffidenza. Lui indica il monitor, un punto a caso; dice: voglio giocare a quello. Lo prendo in braccio, lo faccio sedere sul ginocchio e gli chiedo di nuovo a cosa vuole giocare. Si sporge con tutto il corpo e lascia una bella impronta digitale sul monitor, in un punto in cui non c'è nulla: questo, dice. Ok allora: apro il Mah-Jong. Ho solo questo, gli dico, ma non so giocare. Io sì, dice lui. Be' fa' pure - sorrido - io non so le regole, ma se tu le sai... Sei comodo? gli chiedo, O vuoi una sedia tutta tua? Lui non distoglie lo sguardo dal video neanche per un secondo e con una voce flebile, ma decisa: voglio una sedia tutta mia. Meglio, mi stavi sudando i pantaloni. In due minuti il nano bellissimo di due anni, sulla sua sedia personale, risolve un intricatissimo schema di Mah-Jong. Ma subito prima della sua ultima mossa stacco col piede la spina al computer senza farmi notare. Lui mi guarda con l'aria di chi ha capito tutto. Oh! dico sorpreso, chissà cosa è successo. Speriamo che tu non l'abbia rotto, gli dico. Lui zitto. Be', dico, comunque s'è fatto tardi. Guarda che tardi, dico guardandomi il polso senza orologio. Lo guido davanti al televisore. Gli accendo un canale di cartoni animati. Lui zitto e serio, continua ostinato a fissarmi. Io devo andare, gli dico. Sai, dico, devo correre. Mimo una corsa. Vado a correre, gli dico mentre lui, sul divano, mi fissa. Indietreggio. Chiudo la porta. La riapro. Continua a fissarmi.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale