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Ma perché le tue storie sono sempre così turbolente? ti chiede M.M, pedalando.
Ridi. Già, dici, Perché?

(MM lo so che leggi questo blog, non fare finta di niente…)

C’è un’aria di paraffina in piazza. Sulle impalcature proiettano le immagini dei treni fermati. Fa caldo, è sera, è pieno di gente. La fiaccolata ha riversato tutti nei bar, o sui banchetti abusivi che vendono bicchieracci di vino a poco prezzo.

Guarda che stiamo per litigare, dice, Guarda che mi sto per incazzare. E raddrizza le spalle, aspira la sigaretta, incrocia le braccia.
Incazzati…, dici, col sorriso.
Guarda che ti tiro un pugno., dice, Guarda che ti prendo a schiaffi.
Ti chini in avanti con la faccia bene esposta, le prendi una mano e le apri le dita.
Dài, dici. Hai un’espressione sfacciata, un ghigno che anche il papa ti tirerebbe un ceffone. Dài dici Colpisci.. Le muovi la mano sulla tua guancia.
Lei sbatte i piedi per terra, tira la mano verso di se’.
Non provocarmi, sai., ti dice. Poi, rivolta a nessuno di preciso: Stiamo per litigare, eh!?, a voce alta, e tutti attorno si voltano verso di voi.
Ma appena ti guarda, si vede che trattiene una risata.


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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale