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Certe volte ci malmeniamo.

Al lato destro del salotto, io arroto i denti (terrore +2), stringo i gomiti alla vita (difesa +6), mi preparo a sventagliare le mani (attacco +4). All’angolo opposto, dietro il tavolo tondo, con i capelli a medusa (terrore +2), Giovanna si avvicina sgranchendo le dita per pizzicarmi (attacco +1), intanto gira gli occhi spiritati su ogni oggetto valutandone l'attrito in caso di lancio (terrore +infinito). Se siamo arrivati a questo punto, cioè a girare attorno al tavolo a passi laterali, con in sottofondo una musica fischiettata da ignoti e fuori una tempesta così tempestosa che sembrano essere scomparse le pareti, significa che i libri sono già sparpagliati a terra, mezzi strappati, e potrebbe essere che qualcuno abbia anche lanciato mezza cipolla contro la parete e che questa si sia rintanata dietro la gamba di una sedia per qualche giorno, in attesa di soffritti a fuoco più lento.

Giovanna flette le gambe e mi è subito addosso. Le blocco i polsi, prendo la mira ma sono troppo miope, si vede che sto mettendo a fuoco, così, quando cerco di colpirla a mano aperta, lei scansa grazie a un giro veloce della testa, si abbassa liberando le mani e tenta la mossa del mozzicatore di braccia. Il riflesso dei denti mi mette in allerta e con una giravolta le faccio uno sgambetto prima che mi azzanni. Lei cade, ma subito si rialza dopo una capriola. Salta sul tavolo, dalle tasche estrae dei calzini puliti e me li sfreccia addosso. Corro in circolo per non farmi prendere, mi nascondo sotto il tavolo e lo ribalto. Lei salta sullo schienale di una sedia, io su quello della sedia di fronte. Ci fissiamo. Sputiamo a terra, io a destra, lei a sinistra. Fuori, il bagliore di un lampo. Appena tuoneggia, mi aggrappo al lampadario per colpirla con un calcio volante, ma un calzino affilato taglia il cavo proprio appena mi aggrappo. Crollo a terra. A questo punto, con una mossa da Antonio Inoki, come un vero angelo sterminatore del catch, illuminata dalla luce della vittoria tutta proveniente dai denti, a un solo secondo dal suono del gong, mi salta addosso.

- Ripetimi: per cosa stavamo litigando?

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale