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Mi ricordavo più comodo il divano. Le luci sono accese. Fisso un libro marrone sulla libreria ancora da montare. Non è mio, penso, che ci fa quel libro non mio nella mia libreria. Metto a fuoco, si sfibra tutto. Dondolano le molle dei cuscini. Per stare comodo piego le ginocchia, mi giro ogni due minuti, mi intorpidisco, mi rigiro. Stendo le gambe, ma il bracciolo spezza la circolazione. Il salotto è infestato dagli insetti. La ceramica nel lavello si sfrega, scricchiola. La mia nuova mascotte si chiama Spazzy, uno scopettone di plastica alto un centimetro e mezzo, la faccia incazzata, braccia e gambe rosa. In testa un afro marrone, inequivocabile. With a sky blue sky/ This rotten time/ Wouldn’t seem so bad to me now/ Oh, I didn’t die/ I should be satisfied/ I survived/ That's good enough for now. I sogni del porto sono rossi e prudono. Quando chiudo gli occhi, mi appaiono tutti i programmatori di flash che insulto giornalmente. Hanno la forma dei barbapapà, ma ispidi. Dindillano. Ho trentadue anni, perdio. È ora di mettere su famiglia, dice mia madre dal telefono. Me ne torno a letto.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale