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- Allora sei pronto?
- Cosa? Per cosa?
- Il concerto. Stasera c'è il concerto.
- Che concerto?
- Dai, quello di Mat. Il concerto metal.
- Uh?
- Ti passo a prendere alle undici, mettiti la maglietta.
- La maglietta...
- La maglietta metal: ricordati la maglietta!

Spengo campo minato - rinuncio all'idea di rimanere a casa a battere il record - le mie serate recentemente non sono proprio il massimo - riesumo da un cassetto la maglietta metal - considero la possibilità di scappare - c'ho quasi trent'anni perdio! - indosso la maglietta - mostro le corna allo specchio - scuoto su e giù la testa, veloce -
... coi capelli corti non fa lo stesso effetto...

Zona industriale, undici e un quarto.
Tra i capannoni, il Country Star.
Dici: Country... e il metal?
Già: benvenuto nel regno della sincronia.

Ai lati dell'ingresso sono disegnati due cavalli. Entriamo. Poster di film western alle pareti. Murales di cowboy in pieno malboro country. Odore di brusìn. Divanetti da sala d'attesa del dentista. I due gestori - marito e moglie - quasi due nani - più o meno centovent'anni entrambi.
E poi: il metal.

- Ecco, sì - dice indicando il bagagliaio - appoggia la tenda qui.
- Be' insomma, come è andata?
- Bene. Al Bobourg ho visto una mostra sui manifesti di Hitchock.
- Bella?
- Una figata. Tieni, ti ho portato un regalo.
Mi passa un sacchetto di carta, sottile. Tiro fuori una cartolina: è la riproduzione della locandina di un film,
Il ladro, ma è in originale, col titolo originale: The wrong man.

Ci sediamo tra i metallari. Sembra una riserva, un parco naturale: qui gli ultimi esemplari di una specie in via d'estinzione. Stanno seduti ad ascoltare i gargarismi del cugino It sul palco. Quando il secondo gruppo intona (intona?) Zombi Raising, vedo una sottile commozione negli occhi di T. Qualcuno alza il braccio col dito indice puntato sul gruppo.

- Mi sembra che stai meglio, dalla voce
- Certo. Se mi allontano da te sto meglio
Ride
Rido: - No, è vero, non sto scherzando.
Ride di nuovo
Rido di nuovo: - No, sul serio, sono serio!
Ridacchia.
Ridacchio: - E' così, lo giuro.
Ridiamo.


Così, a un certo punto, visto che comunque, nonostante il metal, continuo ad estraniarmi e a ripensare ai cazzi miei e mi invortico sempre, come sempre, nei soliti orrendi processi circolari, sovrapponendo ricordi e oggetti e alimentando l'angoscia temporanea - sempre meno temporanea - decido di uscire a prendere un po' d'aria.
Piove e attorno non c'è praticamente nessuno.
- Signor L?
Mi giro. C'è un uomo in impermeabile. Ha la faccia sottile, rasata. Pochi capelli grigi.
E' poco più alto di me.
- Lei ha bisogno del mio aiuto - dice.
- Chi è lei?
Mi passa un biglietto da visita: - Tenga - dice - Adesso però devo andare. Ma ci rivedremo presto. Lei ha bisogno di me.-
- Scusi, ma come... chi... - chiedo, mentre si allontana. Cammina lento, poi svanisce, lasciandomi solo.
- Ma che... -
Adesso si sente solo il rumore attutito della batteria e delle chitarre elettriche.

Sul biglietto c'è stampato, in rosso: "Viktor Sklovskij - Formalista russo."

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale