Passa ai contenuti principali
Sì, be', sì, sono un disastro. Mi aggiro per la biblioteca, furtivo. Controllo attraverso gli scaffali - come nei film - che non ci siano persone sospette, incontri imbarazzanti. Mi acquatto agli angoli delle pareti e, con uno specchio, mi accerto che la via sia libera. Striscio lungo i muri, annodo una treccia di carta igienica per fuggire dalla finestra. Il mio posto non è questo, penso. Qualcuno ha arrotolato le bandiere ai pennoni, prima della tempesta. O forse sono sempre state così e si scolorano giorno dopo giorno, senza sventolare. Lunedì mi aspetta la resa dei conti, col guru e con un'altra persona che non mi aspettavo, ma che in questa settimana mi ha fatto turbinare lo stomaco in un vortice, avvitare i pensieri nella calanca vertiginosa, che inghiotte ancora vittime - fortuna che poi qualcuno è in grado di arrestare il precipizio nel grottesco con la sua sola presenza... Il guru continua a telefonare alle commissioni d'esami, spacciandomi per uno studente bravo, quando sfioro a malapena la decenza. Scusi, chiedo al commissario, che ha corretto il mio tema su Montale, ma cosa ho sbagliato? Ho sbagliato l'interpretazione? - Metti a caso un asteroide, un meteorite di materiale ferroso; metti che a un tratto, venga attirato nell'orbita terrestre; metti che non resti in orbita, ma scenda nell'atmosfera, sfrigoli per l'attrito, si scaldi a temperature orrende, crolli fischiando a terra: metti che tu sia steso, prendendo il sole, sia addormentato, disteso nel punto di contatto. Ecco. - Il professore risponde: Non solo, c'erano anche errori di italiano; magari hai ricopiato troppo in fretta. Crollano in sequenza: mandibola, occhiali, capelli, pantaloni, mutande (urla di panico nel dipartimento), incisivi, occhi, orecchie, etc. (ho rimesso a posto tutti i pezzi, adesso, ma credo che qualcuno si sia intascato una parte del sistema nervoso...) Alle sei del mattino, Padova sgocciola nel buio. Il treno ad altra frequenza si ferma in stazioni solo sentite nominare che credevo favolose e inesistenti. Siedo in un vagone dove sono l'unico bianco. Un nero si alza, in mano un'enorme bibbia aperta a metà: tra Padova e Vicenza tiene un sermone, una messa, in inglese, su come il suo popolo sia in disgrazia perchè non crede più in dio. Guarda gli stati uniti! Sui loro soldi c'è scritto "In god we trust" [ha una pronuncia difficile da seguire: dice 'trost' e non 'trast', per esempio]; Guarda l'Italia! Hanno ucciso cristo, i romani hanno crocifisso cristo, ma guarda adesso, a ogni angolo una croce, a ogni passo una chiesa! ... E via, via dicendo. Alla fine si scambiano la solita stretta di mano in segno di pace, stringono la mano anche a me, poi tutti scendono dal treno, sostituiti da una mandria di studenti vicentini. Mia nonna oggi compie 94 anni, mia sorella sembra sia di nuovo incinta. Se potete, non accettate lettere da sconosciuti.

Post popolari in questo blog

UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale