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A. paga il suo gelato: usa una banconota da cinque euro.
Io pago il mio – coppa Amarena – banconota da 10 euro. Mentre la signora alla cassa mi dà il resto, sento dietro di me A. e C. sghignazzare. Hanno l’aria divertita e imbarazzata.
- Cosa ho fatto questa volta?, chiedo
- Niente, niente, usciamo.
Ci incamminiamo verso il centro di Abano. A. mi fa: - Guarda la banconota.
La guardo.
– E’ quella con cui ho pagato io. – mi dice
- Non ti sembra che manchi qualcosa?
- Zio vacca! L’ologramma!
- Me l’hanno data in farmacia stamattina, è tutto il giorno che tento di smerciarla.
- Checcazzo, proprio a me?
- No no, dai, domani te la cambio
- Be’ no, non importa, la darò a Simone per la grigliata.

Stamattina, a prendere il giornale. Pago. Mi allontano lentamente. Non voglio destare sospetti. Dopo dieci metri sento i passi della giornalaia paffuta: - Aspetti! Aspetti!
Mi mette davanti i 5 euro: - Questi qui, non sono validi.
Ah sì? --- all’inizio sono anche credibile. Le ridò il resto, le pago il giornale. Dopo due tre ore mi rendo conto che ho sbagliato a fare i calcoli e che le ho pagato il giornale due volte il suo prezzo.

Oltre alla beffa, il danno.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale