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Giovedì 4 marzo 2004

... il militare sembra una pera con le gambe; la felpa che indossa, invece di nascondere le curve della pancia, gliele sottolinea; il suo baule di plastica nera (lucchettato, proveniente dal kossovo) occupa in pieno il corridoio della cuccetta; quando si gira, sento cigolare il suo letto, sopra di me; mi immagino che da un momento all'altro la cuccetta si rompa, crolli, mi schiacci; poi, se mi concentro sul treno, sul rumore del treno - non so - penso ai deragliamenti; non dormo bene; qualcosa è sbagliato se continuo a pensare agli incidenti; T mi offre dei tappi per le orecchie; rifiuto; sopra di lui c'è un romano che russa; ho nascosto le scarpe sotto il sedile, mi chiedo se si sente l'odore; appena mi muovo strappo un poco le lenzuola; T è sorpreso che ci abbiano preparato il letto; sui treni francesi il letto te lo fai tu;

forse mi sto disintossicando da: i blog, il mio blog, internet in generale, gli spriz, montale, i campi elettromagnetici, la pulizia della casa, il raffreddore, la nebbia, il sonno, la filologia, i problemi condominiali, la metereologia, la logica intuizionista, i problemi di coppia, il cuore, il polpettone, la tv digitale, gli strascichi, la lontananza, i film horror, la catalogazione dei libri, l'idea di leggere tutto il leggibile, i film tratti da fumetti di supereroi...

a formia siamo già svegli; ci alziamo; c'è il sole; dalla stazione si vede il mare che scintilla; i nostri vicini di scompartimento sono tutti nel corridoio a guardare dal finestrino; molti militari; parlano velocemente una cadenza che non capisco del tutto;

forse sto alimentando nuove dipendenze: i videogiochi in prima persona, la pizza, i fumetti francesi, Venedikt Erofeev, le scatole di cartone, i pacchi postali...

consegnamo le lenzuola al controllore che le butta in un sacchetto di plastica; alziamo le cuccette per poterci sedere; il militare sta un po' con noi, un po' coi vicini, coi quali si sente più a casa; gli chiediamo se è di napoli (è di napoli); vogliamo sapere cosa vale la pena vedere (le vie del centro); se è mai stato a pompei, a santa chiara, al museo nazionale (no, risponde con uno sbuffo di imbarazzo);

[...] ... e lui - dopo che T tira fuori la storia del ricatto al governo francese - di striscio ci dice che il sistema ferroviario è facile da colpire per dei terroristi; noi zitti ascoltiamo la sua spiegazione tattica un po' svagata, teorica, con le mani in tasca; non ci sono controlli, la stazione non è mica un aereoporto; subito fissiamo il suo baule nero... [...]

indica i condomini della periferia, dice che napoli non è così, è più bella napoli, questa è la periferia;
almeno qui c'è del verde, dice T;
l'hai mai vista la periferia di milano, aggiunge;

stiamo in silenzio,
alla fine si alza, se ne va dondolando nell'altro scompartimento.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale