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ma le mani del barbiere, oltre a essere piene di capelli sminuzzati, hanno l'odore di polpette all'aglio; ogni volta che si aggirano sulla mia fronte sento l'odore delle polpette, mi chiedo come possa un barbiere sapere di polpette, mentre le orecchie mi si stanno già raffreddando, e intanto immagino il vento che si incanala tra i padiglioni e la testa, e il freddo (sarà mica primavera questa, eh? cos'è, uno scherzo? dov'è finito il cielo dell'altro giorno? chi si è rubato il caldo che aspettavo e l'ha sostituito con un vento costante da emicrania? eh?) uff, questo freddo...

se mi odiate continuate a chiedermi "e adesso? e adesso?" e adesso non lo so, e adesso, adesso prima di tutto un esorcismo per far sì che la tecnologia la smetta di esplodermi accanto: finestrini elettrici, lettori mp3, cellulari, monitor, computer, penne usb, macchine fotografiche digitali, mouse wireless, lettori dvd, forni a microonde, - se mi si avvicinano impazziscono, le batterie si scaricano all'improvviso, produco un campo energetico negativo che risucchia la volontà dei circuiti di funzionare - magari esiste un lavoro adatto a me, se vi serve qualcuno che con la sola presenza distrugge microchip chiamatemi, funziono, ve lo posso assicurare, costo poco

(p.s. ma poi... ma poi, vedrai, ritorni, lo so che ritorni, non credere, dici di no, che non ritorni, che tutto non sarà più, non sarà più, ma invece non ci credere, che adesso c'è questo maltempo, che sembra in tutto e per tutto quello che mi accade sottopelle, quello che gira e vòrtica nel retro della faccia, nella pellicola sottile dove nascondo le espressioni che non voglio mostrare, ma dopo... e se anche non torni, faremo in modo di incontrarci a mezza via, ovunque - ti sembra che le cose cambino, ma non cambiano così)

- E adesso? - mi chiede il barbiere, esalando odore di polpette.
Ho uno scatto nervoso che quasi mi faccio tagliare un pezzo di orecchio. L'idea è quella di prendergli le forbici e piantargliele in mezzo al cranio. Ma poi avrei i capelli asimmetrici.
- Mah. - dico.
- Non hai qualche idea? - chiede.
Da quando il barbiere vuole fare conversazione? L'ho scelto apposta perchè di solito sta zitto...
- Qualcuna -
- Quale? -
- Non so... vediamo. -
- Cioè? -
- No ecco, tipo... -
- Tipo? -
- Be' sì, insomma... non è facile. -
- Ah - dice - Tagliamo ancora? -
- Sì, un po' - rispondo, sperando di aver finito di tergiversare.
Ma lui, dopo un secondo: - E proverai il dottorato? -
Ho delle visioni che contemplano il mio barbiere, il phon, il rasoio, le forbici per sfoltire, lo spruzzatore, parte del rubinetto, l'attaccapanni, diverse fiale di crescina.
- Sì. -
- Ah. - dice, non del tutto soddisfatto.
Cerco di guardarmi nello specchio, ma senza occhiali non ci vedo niente.
- E intanto? Cosa fai intanto? -


(uccido barbieri stracciacazzo)

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale