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Questa storia - che non è un granché - comincia con un giornalaio e finisce con il protocollo di Kyoto. In mezzo: l'esplosione di una cerniera lampo. Non un'esplosione qualsiasi: la cerniera dei tuoi pantaloni - esplodendo senza motivo, con un PUM smorzato mentre pedali - lascia entrare aria freddissima tra le mutande senza che tu possa fare niente. Nel frattempo, continui a pensare che stai oltrepassando la soglia della tua deficienza e se anche senti di condividere il messaggio che ti è arrivato al cellulare (che dice più o meno: "le ragazze sono sempre le ragazze", ma lo fa più poeticamente, con una sineddoche - una parte per il tutto, come quando si dice tela per dire quadro - e in questo caso la parte femminile in questione non è il piede), non riesci a sottoscriverne l'ottimismo di fondo. Intanto, in autostrada, si vedono i fumi delle fabbriche e le luci notturne, e tu abbassi il finestrino e urli, sporgendoti fino all'ombelico, schivando col busto i camion che ti sfiorano: "E il protocollo di Kyoto? Dove lo mettiamo il protocollo di Kyoto?"... no, questa era la fine. Ricominciamo: il giornalaio ti si affianca mentre sbirci le riviste di computer. Ha il braccio sinistro alzato, teso, leggermente inclinato, la mano aperta. Dice: "Heeeeeeil Hitleeer!", poi si mette a ridere. "Bravo, bravo", gli dici, "Dammi il manifesto, va'". Lui sghignazza, ti passa il giornale, dice: "E pensare che anche Mussolini era socialista, prima, no?" Alzi le spalle. "E Mazzini? Anche Mazzini era socialista?", chiede. "Più o meno", dici. "Ma pensa.", dice lui, mentre esci, "E Cavour? E Pietro Micca? E Macchiavelli? E Cesare Borgia? E gli Scrovegni? Erano socialisti gli Scrovegni? E i guelfi? E Dante? E Bonifacio VIII? E i ghibellini? E Federico II? E il notaro? E..."
Scappi prima che arrivi a Muzio Scevola.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale