Passa ai contenuti principali
Il demente che è in me sta prendendo il sopravvento. Si risveglia nei momenti più importuni, mi fa dire frasi idiote passandole per necessarie, scardina il vacillante senso di sicurezza che da poco mi ero costruito. Ondeggio, rimugino, ripenso; mi intontisco sui particolari - sempre gli stessi - mi ripeto parola per parola brandelli di conversazioni nel tentativo di parare, nel futuro prossimo, l'idiozia dilagante. Ma l'idiozia... be': dilaga.

La psicosi inizia alle sei e mezza del mattino, quando, svegliandomi di colpo, mi chiedo se ho lasciato fuori la bici di mia madre. E se non l'ho fatto - se cioè ho messo la bici in garage - com'è che non lo ricordo, mentre ricordo perfettamente il prima e il dopo, senza buchi temporali? Mi rigiro e giro tra le lenzuola arancioni. Non posso essere così mona da aver lasciato fuori una bici senza lucchetto. Ma forse sono così mona da pensare di non essere così mona da aver lasciato fuori la bici. Ma non posso essere così mona da pensare di essere così mona da pensare di non essere così mona da aver lasciato fuori la bici. Un po' di fiducia, perdìo! Ma se non posso essere così mona da pensare di essere così mona da pensare di non essere così mona, forse sono così mona da pensare di essere così mona da credere di essere così mona da sottovalutare la monaggine di essere convinti di non poter essere così mona - e quindi un mona al cubo, un ipermona, un oltremona (ubermona) - da aver lasciato fuori la bicicletta di mia madre, appoggiata a un muro alle sei e mezzo del mattino mentre io giro e rigiro le lenzuola rigirandomi, disquisendo di monate. Indosso la tuta, maglietta, ciabatte di sughero. Ascolto i movimenti di mia madre. Aspetto che se ne torni in camera sua. Poi, felino, scendo in strada. La bici non c'è. Soddisfatto, torno a letto.

Ma se la bici non è appoggiata al muro, vuol dire forse che l'ho messa in garage o invece che l'ho dimenticata fuori e qualcuno se l'è presa - cosa non inverosimile, visto il mio recente quoziente di furti di bicicletta? E perchè sono così mona da scendere alle sei e mezzo del mattino in preda a un'ansia psicotica, senza controllare in garage, girando per la via in ciabatte e tuta come un pensionato, magari senza occhiali, se effettivamente la bici è lì? Ma soprattutto: se il mio desiderio è, o dovrebbe essere, quello di dormire, com'è che invece sono ancora qui a discutere della monaggine dei miei gesti in un tripudio di monità girando e rigirandomi nel letto tra le lenzuola arancioni?

Post popolari in questo blog

UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale