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Sulla scala della gran guardia, aspettiamo il funerale. Arriverà in piazza tra poco, ci hanno detto. I bar sono a lutto. Espongono casse da morto nere in vetrina, accendono lumini rossi sui marciapiedi. In piazza, i lumini formano un piccolo corridoio. Più che altro sembra la pista d'atterraggio di un aereoporto. Le bare verranno deposte là. Una accanto all'altra. La piazza è semi vuota, ma la gente arriverà col corteo, ci diciamo. Non ci posso credere che siamo qui ad aspettare, dice A*, ma sul serio stiamo aspettando il funerale? Non ci posso credere! Oggi si celebra la morte dello spritz! I baristi del centro protestano contro il sindaco che li obbliga a chiudere a mezzanotte. Cosa mangiamo stasera? Pizza? Kebab? Un paio di gazebo raccolgono le firme; dell'evento ne parlerà anche il Times. I baristi hanno speso soldi: si sono stampati dei manifesti mortuari, il più bello dice: sì al divertimento in centro, no alle stragi del sabato sera. Sei proprio un borghese, mi dice il Commu, sei proprio un borghese, tu. Fai ragionamenti da borghese! E intanto arrivano, arrivano le bare, portate a spalla, in fila, i primi hanno cappucci bianchi, urlano contro i bar aperti. Arrivano! Arrivano! Quando arrivano? Adesso! Ma che fanno, la via crucis? E offrono da bere? Perché non offrono da bere? Avrebbero dovuto offrire da bere, dice M*, allora sì sarebbe stato un carnevale, tutti ubriachi e una festa come si deve. Invece sobri sobri, tristi e lugubri e i baristi che si precipitano davanti alle telecamere. E noi? E noi? Uh! Non ci credo! Non ci credo che siamo ancora qui; andiamo a mangiare? a casa mia? E' troppo lontana! dice il Commu, Casa tua, dopo, come ci torno da casa tua in bicicletta? Commu, vattene a dormire, allora, dice A*. Be' potremmo stare in centro, dico. Ma tu cosa lo stai ad ascoltare? Non stare ad ascoltare il Commu, che dice un sacco di fregnacce. Commu, va a dormire! Prendo la macchina allora, dice il Commu, vi raggiungo. Per il compleanno mi hanno regalato una canna, dice T*, la mia prima canna, ma non so bene quando fumarla, mi dimentico che ce l'ho. Allora vado a prendere la macchina, eh? Questi baristi, loro dovrebbero fumarsi una canna, non capisco perché non offrano da bere. Vai vai Commu, vai. Ah, che tristezza. Abbandoniamo il funerale, formiamo una fila di biciclette che si allontana dal centro. E' buio e un po' freddo e ci avviamo verso discorsi su salsicce e patate e il gioco del bicchiere in bocca che si inserisce trivellando. Tutto ciò accadeva una settimana prima che io compissi trentun'anni, a giugno, nel 2006, uno dei primi giorni del mese.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale