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Ho flettuto e riflettuto, ho aperto word e ho chiuso word, e mi sono seduto e mi sono rialzato, ho girellato per casa e fuori casa, ho sudato e strasudato in posti che non pensavo potessero sudare e, come al solito, ho deciso che non ho voglia di continuare. Non che ci fosse più molto da dire. Quella stessa sera siamo stati presi di mira da due vecchi, alla festa di rifondazione. Il primo era zoppo. Si faceva aiutare dalla moglie, ma tra di loro non si parlavano. Una volta seduti, lei si è messa a mangiare una piadina, lui si è avvicinato per raccontarci che, ai suoi tempi, i morosi si sgraffiavano e si morsegavano, si davano pedae, invece adesso si dicono Yess. Yess, si dicono, hai capito? La moglie ha finito la piadina con calma, poi si è alzata per trascinarlo via. Lui continuava a dirci, indicandola con colpetti di testa, di non sposare le donne furlane, che sono dure, dure, come la carne piena di nervi. Il secondo si chiamava Narciso, e ci ha raccontato tutta la vita a partire dal concepimento in mezzo alle barbabietole. Era uguale al padre di Braccio di Ferro. Aveva una maglietta a righine orizzontali, rosse e nere, sulla quale portava una collana di piccole pietre azzure. Sembrava sobrio, ma era ubriachissimo. Raccontava del suo lavoro di imbianchino e di quella volta che si era preso un acido a un concerto dei Nomadi. Diceva che poi si era perso per Bologna e vedeva il marciapiede ondeggiare. Mentre parlava, continuava a sgomitarmi tra le costole; quando si rivolgeva a qualcuno iniziava la frase urlandone il nome più volte. Ci offrì dei bocconcini di provola tutti sudati e umidi. Poi non ricordo più, perché per sopportarlo mi è capitato, per caso, di ubriacarmi anch'io.

La paranoica l'abbiamo incontrata di nuovo il giorno dopo, in un cantiere deserto. China sotto il sole, tra mucchi di sabbia e sanpietrini, era vestita di nero e teneva le labbra in fuori, come si fa quando si cerca un gatto. Ieri, invece, mentre ci stavamo organizzando per pranzare il pranzo della Grande Abbuffata, un signore in tenuta da golf, si avvicinò, puntandoci, a passi lentissimi e, una volta raggiunti, ci indicò e disse, dopo una pausa di qualche secondo: Internet people. E se ne andò.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale