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Si scoperchiano le soffitte! Usciamo dagli sgabuzzini un po' acciaccati. L'inverno ci ha rattrappito i gomiti e le ginocchia. Soffiamo via la polvere dalle giunture e flettiamo le gambe verso la piazza, anticipati da un refolo di scartoffie. Tutti davanti alla partita. E' un sabato fantasmatico, in centro; sarebbe anche silenzioso, non fosse per quel gruppo di americani al bar che guarda la televisione e si sommuove ad ogni avvenimento; o i suonatori di strada che intonano, con fisarmoniche e trombe, gli inni nazionali ad ogni gol - neanche fossimo in un film di kusturica.


Ho un matto personale che mi punta quando mi vede passeggiare. Non ne parlerò oggi, perché è da un po' che non lo incontro. Quando mi incrocia, mi chiama Ignazio, oppure Francesco, certi giorni IganzioDaLoyola, una volta Porco!, mentre pedalavo verso casa con Giovanna.

Sabato, in piazza, si avvicina una signora vestita di rosso. Avrà circa cinquant'anni. Mi chiama per cognome, con una pronuncia acuta come un coltello. La bioenergia! dice, La bioenergia di una persona si vede da come muove le mani!

Io e te, mi dice senza prendere fiato, abbiamo partecipato a un seminario di scrittura assieme. Come sta quel tuo racconto sulle vongole? E i pistacchi?

Lo sai? Non si scrive per dolore, ghigna, si scrive per passione! Io avevo scritto un bel racconto, pieno di passione, con tutte le parole giuste, gli aggettivi al loro posto, tutti i sentimenti ben scritti, le mie emozioni, e voi...

Glielo abbiamo stroncato, rispondo...

Me l'avete stroncato! Ma io ho depositato tutto alla Siae, tutti i miei racconti, e la mia tesi di laurea! Perché pensavano di rubarmela! Mi chiamò una sera il professor Rupertino per dirmi che forse avrebbe scritto una cosa con la mia tesi, ma la mia tesi l'ho scritta io! Così l'ho depositata alla Siae insieme a tutto il resto. Ho speso un sacco di soldi, maa...

Ha fatto bene, dico...

Ho fatto bene! E tu... tu, dice a Giovanna, tu! io lo vedo; il tuo sguardo mi offende! Bisogna accettare il vissuto degli altri, e non scrutare con quegli occhi, io mi sento offesa da come mi guardi, mi guardi corrucciata e il tuo sguardo mi offende! Non si guardano così le persone...

E se ne va.

(continua, se ho voglia)

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale