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Novembre 1936 – paul éluard
(traduzione: Franco Fortini)

Guardateli al lavoro i costruttori di macerie
sono ricchi pazienti neri ordinati idioti
ma fanno quel che possono per esser soli al mondo
stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco
piegano fino a terra palazzi senza capo.

A tutto ci si abitua
ma a questi uccelli di piombo no
ma non al loro odio per tutto quel che luccica
non a lasciarli passare.

Parlate del cielo e il cielo si vuota
poco ci importa l’autunno
i nostri padroni hanno pestato i piedi
noi l’abbiamo dimenticato l’autunno
dimenticheremo i padroni.

Città secca oceano d’una goccia scampata
di un unico diamante coltivato alla luce
Madrid città fraterna a chi ha patito
lo spaventoso bene che nega essere esempio
a chi ha patito
l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene.

E alla sua verità salga la bocca
raro alito sorriso come rotta catena
e l’uomo liberato dal suo passato assurdo
levi innanzi ai fratelli un volto eguale

e alla ragione dia vagabonde ali.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o