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Intanto, l’alba.

Era da tempo che non restavo sveglio così tanto.
Mi si chiudevano gli occhi, facevo perfino fatica a guardare.
Ale, invece, era come se si fosse appena svegliato, si era bevuto anche un caffè.
Io: crollavo.
Avevamo visto la luce del sole diffondersi mentre chiacchieravamo. Poi, piano piano, se ne erano andati tutti: Duccio, Guido, Ale. Ho pulito il tavolo, stavo per infilarmi a letto, ma prima sono uscito un po' in balcone. Erano le sette. L’aria a quell’ora sembrava diversa, più limpida, più facile da respirare. Invece di andare a dormire sono sceso a prendere il giornale. Ho spaventato il mio giornalaio scorbutico e leghista. Era solo, ed è abituato a vedermi verso le nove e mezza. Non credo che abbia una buona opinione di me. Per rompergli le balle, una volta, entravo tutti i giorni nel chiosco e uscivo senza comprare nulla, dopo aver sfogliato tutti i fumetti e tutte le riviste. Lo mandava in bestia, questa cosa. Forse pensava pure che rubassi qualcosa.
“L’Unità”, gli ho chiesto. Mi ha passato il giornale, ma si vedeva che era turbato. Quando me ne sono andato, ancora mi fissava.

Ho sonno.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale