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Intanto, l’alba.

Era da tempo che non restavo sveglio così tanto.
Mi si chiudevano gli occhi, facevo perfino fatica a guardare.
Ale, invece, era come se si fosse appena svegliato, si era bevuto anche un caffè.
Io: crollavo.
Avevamo visto la luce del sole diffondersi mentre chiacchieravamo. Poi, piano piano, se ne erano andati tutti: Duccio, Guido, Ale. Ho pulito il tavolo, stavo per infilarmi a letto, ma prima sono uscito un po' in balcone. Erano le sette. L’aria a quell’ora sembrava diversa, più limpida, più facile da respirare. Invece di andare a dormire sono sceso a prendere il giornale. Ho spaventato il mio giornalaio scorbutico e leghista. Era solo, ed è abituato a vedermi verso le nove e mezza. Non credo che abbia una buona opinione di me. Per rompergli le balle, una volta, entravo tutti i giorni nel chiosco e uscivo senza comprare nulla, dopo aver sfogliato tutti i fumetti e tutte le riviste. Lo mandava in bestia, questa cosa. Forse pensava pure che rubassi qualcosa.
“L’Unità”, gli ho chiesto. Mi ha passato il giornale, ma si vedeva che era turbato. Quando me ne sono andato, ancora mi fissava.

Ho sonno.

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