Dormo male, faccio fatica ad addormentarmi. In terrazzo ieri abbiamo trovato un’enorme milza caduta da chissà dove. Volevamo cucinarla con le acciughe e la salvia, ma ha cominciato a pulsare, a contorcesi chiedendo pietà. Abbiamo lasciato perdere, anche perché, a dirla tutta, a me le acciughe non piacciono. Lo so. Lo so. Lo so. Sembro ossessionato. Le zanzare. Dio buono, le zanzare. Giovanna appoggia la testa sul cuscino, batte tre volte i denti e via, addormentata. Io sudo in faccia. Mi sento appiccicaticcio. Appena mi distendo, mi prende tutto uno scaldone che... Non c’è nulla da fare. Mi accendo di rosso. Irradio. Se mi agito troppo alla ricerca di una posizione sveglio Giovanna. Allora mi immobilizzo, faccio pensieri da sasso e sudo in faccia. In quei momenti spero nell’effetto carta moschicida, le zanzare che si appoggiano sulle guance e restano invischiate. Invece ronzano. Zanzareggiano. Superbe. Signorili. Come dei gran gagà. Ampie volute attorno all’orecchio. Lenti ronzii in lontananza, picchi improvvisi. Falò sui soffitti. La mattina ho gli occhi a ping pong. Mentre Giovanna prepara il caffè, io spiattello le zanzare grasse sui muri. Cerco di lasciare delle impronte, per le giovani generazioni che entreranno a sera dalla finestra. Ma hanno memoria breve, le giovani zanzare, il sangue gli dà alla testa...
Quando può, lo pubblicizza per il quartiere.
«Anche dal barbiere?» le chiedo a cena, col boccone nella trachea.
«Certo!» mi fa, «Era entusiasta!».
«Mio dio...», dico «Non potrò più farmi vedere in giro...»
«Non ti preoccupare» dice lei, «Guarda che prima li preparo. Gli dico due tre cose in modo che non se la prendano...»
«Cioé?»
«Niente. Li avverto che in quel periodo eri sostanzialmente un po’ depresso e sempre ubriaco».