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Due

Il tuo rapporto con la realtà sta sensibilmente peggiorando. “Io e la realtà”, pensi mentre mangi, “non siamo fatti l’uno per l’altra.” Inforchetti un tortellino. Hai lasciato il piatto per troppo tempo nel microonde. I tortellini che avevi coperto col domopack trasparente ti si sono tutti schiacciati sul fondo. Sembrano sottovuoto, amalgamati uno all’altro. “Io con la realtà”, pensi masticando forse un pezzo di plastica, forse un tortellino, “io con la realtà”, ti ripeti, “non ci vivo troppo bene.”
- Chiederò il divorzio.-, dici a voce alta. E ridi.
Cosa ridi? E’ una battuta idiota, non te ne accorgi?

La tua vita sta prendendo una piega che definire strana potrebbe essere considerato un eufemismo.

Davanti al televisore Ilaria ti chiede se sei gay.
- Cosa? -, chiedi tu.
State guardando
Truman Show. D’un tratto ti pare che il film si fermi e siano gli attori a guardare voi. Dura un attimo.
- Sei gay? - ti richiede.
- No - dici - non credo.
- Ah -, fa lei. – Non credi.
Questo dialogo ti inquieta: tu e Ilaria state assieme da cinque anni.


Ieri mattina ti sei accorto che stavi seguendo una ragazza. La seguivi: è inutile che neghi. Vuoi che ti dica perché la seguivi? La seguivi perché aveva le calze colorate a righe orizzontali. Non conoscevi questo tuo lato feticista. Evidentemente esiste: del resto di lei ti ricordi solo le calze. Non sai neppure che scarpe avesse. L’hai seguita finchè non è entrata nella facoltà di chimica. Lì ti ha seminato. A quel punto ti sei come scosso, risvegliato da una trance. Ti sei guardato attorno: era pieno di studenti molto più giovani di te.
Sei sicuro che due di loro, seduti su un gradino, ti stavano guardando.
Ridevano.

“Primo e unico principio dell’etica sessuale: l’accusatore ha sempre torto.”
Theodor W. Adorno.


Non hai mai letto Adorno, ma ti piace tenere i Minima Moralia sul tavolo, tanto per darti un tono. A volte lo sfogli, lo leggi: non capisci nulla.

Da tre giorni il telefono non suona.

Dopopranzo ti butti a letto cinque minuti prima di tornare al lavoro.
Cerchi di dormire, ma non ci riesci.

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UNA QUESTIONE DI LESSICO (ovvero: e mo' che faccio? cambio nome?) Dove si scopre che il limite della propria cialtroneria è sempre un po' più in là rispetto a dove lo si sospetti. (tratto da questi commenti al blog di giuliomozzi ) (...) Brèkane. Chissà dove ha preso quel nome da cattivo di cartone animato giapponese tipo Goldrake. Posted by Raspberry at 21.07.04 01:41 Ehm, be', il nome... il cattivo di un cartone animato giapponese ancora non me l'aveva detto nessuno... comunque, brekane (o meglio "breccane") è la parola veneta per ortiche. In sè non vuol dire nulla, ma qui "andare a breccane" significa - oltre che "andare così lontano che ci sono solo le ortiche", cioè (con un'altra perfetta locuzione locale) "andare in tanta mona" - anche "divagare, uscire dal discorso". Posted by brekane at 21.07.04 08:52 Ma le brecane non sono le eriche selvatiche? Posted by Mro at 21.07.04 18:36 o
Novembre 1936 – paul éluard (traduzione: Franco Fortini) Guardateli al lavoro i costruttori di macerie sono ricchi pazienti neri ordinati idioti ma fanno quel che possono per esser soli al mondo stanno agli orli dell’uomo e lo colmano di sterco piegano fino a terra palazzi senza capo. A tutto ci si abitua ma a questi uccelli di piombo no ma non al loro odio per tutto quel che luccica non a lasciarli passare. Parlate del cielo e il cielo si vuota poco ci importa l’autunno i nostri padroni hanno pestato i piedi noi l’abbiamo dimenticato l’autunno dimenticheremo i padroni. Città secca oceano d’una goccia scampata di un unico diamante coltivato alla luce Madrid città fraterna a chi ha patito lo spaventoso bene che nega essere esempio a chi ha patito l’angoscia indispensabile perché splenda quel bene. E alla sua verità salga la bocca raro alito sorriso come rotta catena e l’uomo liberato dal suo passato assurdo levi innanzi ai fratelli un volto eguale